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Erich Fromm: "Il racconto di Edipo" tra storia e mito

Erich Fromm: "Il racconto di Edipo" tra storia e mito

Erich Seligmann Fromm (Francoforte sul Meno, 23 marzo 1900Muralto, 18 marzo 1980) è stato uno psicologo, sociologo, filosofo, psicoanalista ed accademico tedesco.

Erich Fromm nacque a Francoforte sul Meno da una famiglia di religione ebraica molto osservante. Nel 1922 ottenne il dottorato in sociologia all'università di Heidelberg con una tesi dal titolo Sulla funzione sociologica della legge giudaica nella Diaspora. In seguito studiò psicologia all'Università di Monaco e all'Istituto di Psicoanalisi di Berlino, dove venne analizzato da Hans Sachs e dove seguì le lezioni di alcuni dei più famosi esponenti del movimento freudiano tra i quali Theodor Reik. Nel 1926 incominciò a esercitare la professione presso il sanatorio psicoanalitico di Heidelberg di Frieda Fromm-Reichmann che sposò il 16 giugno 1926 e da cui divorziò nel 1931. Nel 1930 divenne membro del famoso Istituto di ricerche sociali di Francoforte al quale era legato il gruppo di studiosi che diede vita alla cosiddetta scuola di Francoforte e nello stesso anno pubblicò la sua prima tesi sulla funzione delle religioni su una rivista edita da Freud, chiamata Imago.

Iniziò la sua carriera come psicoanalista freudiano ortodosso a Berlino. Dopo la presa del potere in Germania da parte dei nazisti Fromm si trasferì prima a Ginevra e il 25 maggio 1934 emigrò negli Stati Uniti dove compose quasi tutte le sue opere. Esattamente sei anni dopo, il 25 maggio 1940, diventò cittadino statunitense. Il 24 luglio 1944 sposò Henny Gurland, la quale nel 1948 si ammalò e morì soltanto quattro anni dopo, il 4 giugno 1952. Dopo circa un anno e mezzo Fromm si sposò per la terza volta il 18 dicembre 1953 con Annis Glove Freeman.

Fromm visse e insegnò in varie università degli Stati Uniti fra le quali la Columbia, la Yale e la New York University fino al 1950, quando si trasferì a Cuernavaca, in Messico. Nel 1955 fu chiamato a dirigere il dipartimento di psicoanalisi dell'Università Nazionale di Città del Messico. Con Karen Horney e Harry Stack Sullivan si distinse in questo periodo come uno dei principali esponenti di quell'indirizzo "culturalista" che riuniva i freudiani revisionisti, protesi a sottolineare l'influenza dei fattori sociali nella formazione della personalità umana.

Nel 1974 si trasferì in Svizzera, a Muralto, dove morì cinque giorni prima del suo ottantesimo compleanno il 18 marzo 1980.

A partire dal suo primo lavoro del 1941, Fuga dalla libertà gli scritti di Fromm furono notevoli tanto per il loro commento sociale e politico quanto per i loro fondamenti filosofici e psicologici. Infatti, Fuga dalla libertà è considerata come una delle opere fondanti della psicologia politica. Il suo secondo lavoro importante, Dalla parte dell'uomo - indagine sulla psicologia della morale, pubblicato per la prima volta nel 1947, ha continuato e arricchito le idee di Fuga dalla libertà. Considerati insieme, questi libri hanno delineato la teoria del carattere umano di Fromm, che è stata una naturale eredità della teoria di Fromm della natura umana. Il libro più popolare di Fromm è stato L'arte di amare, un bestseller internazionale pubblicato per la prima volta nel 1956, che ha riassunto e completato i principi teorici della natura umana trovati in Fuga dalla libertà e Dalla parte dell'uomo, principi rivisitati in molte altre opere di Fromm.

Il culmine della filosofia politica e sociale di Fromm si trova nel suo libro Psicoanalisi della società contemporanea, pubblicato nel 1955. In esso Fromm poneva argomenti a favore di un modello di socialismo democratico e libertario, di stampo fortemente umanista.

I pensatori che contribuirono maggiormente alla formazione del suo pensiero furono i Profeti, Marx e Bachofen[1] e proprio partendo in primo luogo dai primi lavori di Karl Marx, egli poneva l'enfasi sull'ideale della libertà personale, mancante nei paesi del socialismo reale, giudicati essere come una forma di capitalismo di stato lontani dall'ideale marxista di libertà. Egli vedeva all'opera, tanto in Occidente quanto nell'Europa Orientale, delle strutture sociali disumanizzanti dominate dagli apparati burocratici, con il risultato di un universale fenomeno sociale di alienazione.

Egli divenne quindi uno dei fondatori del movimento dell'Umanesimo Socialista, promuovendo la conoscenza dei primi lavori di Marx e del suo messaggio umanista presso il pubblico negli USA ed in Europa occidentale. All'inizio degli anni sessanta, Erich Fromm pubblica due libri sul pensiero di Marx, a suo parere profondamente travisato dalle università in Occidente e dagli apparati statali in Europa Orientale: Il concetto di Uomo in Marx e Oltre le catene dell'illusione: il mio incontro con Marx e Freud.

In questa ultima opera egli dimostra la profonda affinità fra la visione di Marx e quella di Freud sulla natura umana ed il carattere disumanizzante della società capitalista.

Fromm non fu mai attivo politicamente e non si iscrisse mai a un partito politico ma diede il suo contributo, in America, per contrastare il fenomeno del maccartismo di quegli anni. A questo periodo risale infatti (1961) l'articolo Potrà l'uomo prevalere? Un'indagine sui fatti e le finzioni della politica estera.

Uno dei maggiori interessi politici di Fromm era rivolto al movimento pacifista internazionale, e nella lotta contro gli armamenti nucleari ed il coinvolgimento statunitense nella guerra in Vietnam.

Nel 1968 diede il suo sostegno alla campagna per la nomina presidenziale dell'allora senatore democratico Eugene McCarthy. In seguito alla sconfitta di Eugene McCarthy. Nel 1974, pubblica un articolo dal titolo Commenti sulla politica di distensione, in occasione di un'audizione presso la Commissione Affari Internazionali del Senato statunitense.

II mito di Edipo offre un eccellente esempio dell'applicazione del metodo freudiano e allo stesso tempo un'ottima occasione per considerare il problema sotto una prospettiva diversa, secondo la quale non i desideri sessuali, ma uno degli aspetti fondamentali delle relazioni tra varie persone, cioè l'atteggiamento verso le autorità, è considerato il tema centrale del mito. Ed è allo stesso tempo una illustrazione delle distorsioni e dei cambiamenti che i ricordi di forme sociali e di idee più antiche subiscono nella formazione del testo evidente del mito. Freud scrive: « Se Epido Re è in grado di scuotere l'uomo moderno come ha scosso i greci suoi contemporanei, ciò non può che significare che l'effetto della tragedia greca non è basato sul contrasto tra destino e volontà umana, ma sulla particolarità della materia sulla quale questo contrasto viene mostrato. Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere nell' Epido la forza coercitiva del destino, mentre soggetti come quello della Bisavola o di altre simili tragedie del destino ci fanno un'impressione di arbitrarietà, e non ci toccano. Ed effettivamente nella storia di Re Edipo è contenuto un tale motivo. Il suo destino ci scuote soltanto perché avrebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo ha pronunciato ai nostri riguardi la stessa maledizione. Forse è stato destinato a noi tutti di provare il primo impulso sessuale per nostra madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza per nostro padre; i nostri sogni cene convincon . Re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e che ha sposato sua madre Giocasta, è soltanto l'adempimento di un desiderio della nostra infanzia. Ma a noi, più felici di lui, è stato possibile, a meno che non siamo diventati psiconevrotici, di staccare i nostri impulsi sessuali dalla nostra madre, e dimenticare la nostra invidia per nostro padre. Davanti a quel personaggio che è stato costretto a realizzare quel primordiale desiderio infantile, proviamo un orrore profondo, nutrito da tutta la forza della rimozione che da allora in poi hanno subito i nostri desideri. Il poeta, portando alla luce la colpa di Edipo, ci costringe a conoscere il nostro proprio intimo, dove, anche se repressi, questi impulsi pur tuttavia esistono. Il canto, con il quale il coro ci lascia:..."Vedete, questo è Edipo, i cittadini tutti decantavano e invidiavano la sua felicità; ha risolto l'alto enigma ed era il primo in potenza , guardate in quali orribili flutti di sventura è precipitato!"

è un'ammonizione che colpisce noi stessi e il nostro orgoglio, noi che a parer nostro siamo diventati cosi saggi e così potenti, dall'epoca dell' infanzia in poi. Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei desideri che offendono la morale, di quei desideri che ci sono stati imposti dalla natura; quando ci vengono svelati, probabilmente noi tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene dell'infanzia ».

Il concetto del complesso di Edipo, che Freud ha così efficacemente espresso, divenne una delle pietre angolari del suo sistema psicologico. Egli credeva che esso fosse la chiave per comprendere la storia e l'evoluzione della religione e della morale e che costituisse il meccanismo fondamentale dello sviluppo del bambino. Sosteneva inoltre che il complesso di Edipo è la causa dello sviluppo psicopatologico e il « nocciolo della nevrosi ».

Freud si riferiva al mito di Edipo secondo la versione contenuta nell'Eco Re di Sofocle. La tragedia ci racconta che un oracolo aveva predetto a Laio, Re di Tebe, e a sua moglie Giocasta, che se essi avessero avuto un figlio, questi avrebbe ucciso il padre e sposato la propria madre. Quando nacque Edipo, Giocasta decise di sfuggire alla predizione dell'oracolo, uccidendo il neonato. Ella consegnò Edipo a un pastore, perché lo abbandonasse nei boschi con i piedi legati e lo lasciasse morire. Ma il pastore, mosso a pietà per il bambino, lo consegnò a un uomo che era a servizio del Re di Corinto, il quale a sua volta lo consegnò al padrone. Il Re adotta il bambino e il giovane principe cresce a Corinto senza sapere di non essere il vero figlio del Re di Corinto. Gli viene predetto dall'oracolo di Delfi che è suo destino uccidere il proprio padre e sposare la propria madre e decide quindi di evitare questa sorte non ritornando più dai suoi presunti genitori. Tornando a Delfi egli ha una violenta lite con un vecchio che viaggia su un carro, perde il controllo e uccide l'uomo e il suo servo senza sapere di aver ucciso suo padre, il Re di Tebe.

Le sue peregrinazioni lo conducono a Tebe. In questa città la Sfinge divora i giovinetti e le giovinette del luogo e non cesserà finché qualcuno non avrà trovato la soluzione dell'enigma che essa propone. L'enigma dice: « Che cos'è che dapprima cammina su quattro, poi su due e infine su tre? » La città di Tebe ha promesso che chiunque lo risolva e liberi la città dalla Sfinge sarà fatto Re e gli sarà data in sposa la vedova di Laio. Edipo tenta la sorte. Trova la soluzione all'enigma cioè l'uomo che da bambino cammina su quattro gambe, da adulto su due e da vecchio su tre (col bastone). La Sfinge si getta in mare urlando, Tebe è salvata dalla calamità, Edipo diviene Re e sposa Giocasta, sua madre.

 Dopo che Edipo ha regnato felicemente per un certo tempo, la città viene decimata dalla peste che uccide molti cittadini. L'indovino Tiresia rivela che l'epidemia è la punizione del duplice delitto commesso da Edipo, parricidio e incesto. Edipo, dopo aver disperatamente tentato di ignorare la verità, si acceca quando è costretto a vederla e Giocasta si toglie la vita. La tragedia termina nel punto in cui Edipo ha pagato il fio di un delitto che ha commesso a sua insaputa, nonostante i suoi consapevoli sforzi per evitarlo.

È giustificata la conclusione di Freud secondo la quale questo mito conferma la sua teoria che inconsci impulsi incestuosi e il conseguente odio contro il padre-rivale sono riscontrabili in tutti i bambini di sesso maschile? Invero sembra di sì, per cui il complesso di Edipo a buon diritto porta questo nome. Tuttavia, se esaminiamo più da vicino questo mito, nascono questioni che fanno sorgere dei dubbi sull'esattezza di tale teoria. La domanda più logica è questa: se l'interpretazione  freudiana fosse giusta, il mito avrebbe dovuto narrare che Edipo incontrò Giocasta senza sapere di essere suo figlio, si innamorò di lei e poi uccise suo padre, sempre inconsapevolmente. Ma nel mito non vi è indizio alcuno che Edipo sia attratto o si innamori di Giocasta. L'unica ragione che viene data del loro matrimonio è che esso comporta la successione al trono. Dovremmo forse credere che un mito, il cui tema è costituito da una relazione incestuosa fra madre e figlio, ometterebbe completamente l'elemento di attrazione fra i due? Questa obiezione diventa ancora più valida se si considera che la profezia del matrimonio con la madre è ricordata una sola volta da Nicola di Damasco, che secondo Cari Robert attinge a una fonte relativamente tarda.

Come possiamo concepire che Edipo, descritto come il coraggioso e saggio eroe che diviene il benefattore di Tebe, abbia commesso un delitto considerato orrendo agli occhi dei suoi contemporanei? A questa domanda si è talvolta risposto, facendo notare che per i greci il concetto stesso di tragedia stava nel fatto che il potente e forte venisse improvvisamente colpito da sciagura. Rimane da vedere se una tale risposta sia sufficiente o se ne esista un'altra più soddisfacente.

Questi problemi sorgono dall'analisi di Edipo Rè. Se consideriamo soltanto questa tragedia senza tenere conto delle altre due parti della trilogia, Edipo a Colono e Antigone, non è possibile dare una risposta definitiva. Ma siamo almeno in grado di formulare una ipotesi e cioè: che il mito può essere inteso come simbolo non dell'amore incestuoso fra madre e figlio, ma della ribellione del figlio contro l'autorità del padre nella famiglia patriarcale; che il matrimonio fra Edipo e Giocasta è soltanto un elemento secondario, soltanto uno dei simboli della vittoria del figlio che prende il posto di suo padre e con questo tutti i suoi privilegi.

La validità di questa ipotesi può essere verificata coll'esame del mito di Edipo nel suo complesso, specialmente nella versione di Sofocle contenuta nelle altre due parti della sua trilogia, Edipo a Colono e Antigone.

 

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