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Avvocati. L'ammissione della responsabilità disciplinare può mitigare la sanzione

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Fonte: https://www.consiglionazionaleforense.it/

Con sentenza n. 312 del 5 settembre 2024 il Consiglio Nazionale Forense ha affermato la congruità della sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense per due mesi per l'avvocato che tenga comportamenti scorretti e non ammetta la propria responsabilità.

Ecco le ragioni logico giuridiche che hanno portato a tale affermazione.

I fatti del procedimento disciplinare

Il protagonista della vicenda sottoposta all'attenzione del Consiglio è un avvocato sanzionato dal CDD con la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense per sei mesi per aver

  • preso accordi con la controparte senza avvisare il collega che la assisteva;
  • consegnato brevi manu alla stessa una nota a sua firma senza avvisare per conoscenza suo legale della stessa, in cui tra l'altro ha utilizzato espressioni offensive e denigratorie nei confronti del collega;
  • utilizzato, nella carta intestata del proprio studio, il titolo di Avvocato Cassazionista pur non avendo mai effettivamente conseguito detto titolo non essendo mai stato iscritto all'albo speciale.

L'incolpato ha impugnato la decisione del CDD ritenendola illegittima ed erronea

  • sostenendo l'insussistenza di alcuna certezza che il Condominio fosse rappresentato da un legale;
  • negando il carattere offensivo delle sue affermazioni;
  • affermando che la carta intestata da lui utilizzata nelle due missive sarebbe stata "un foglio precompilato in uso allo studio" e che la qualifica di Cassazionista, risultava riferita al titolare dello studio e solo per mero errore di stampa sarebbe stato accostato al proprio nominativo e che all'epoca dei fatti oggetto egli possedeva comunque tutti i requisiti per ottenere l'iscrizione all'albo dei Cassazionisti, e ciò escluderebbe di per sé la sussistenza dell'illecito deontologico, in ragione della mancata iscrizione all'albo speciale.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

In merito al primo capo di imputazione, il Consiglio ha rammentato il principio unanimemente espresso dalla giurisprudenza domestica secondo il quale "costituisce comportamento deontologicamente scorretto prendere accordi diretti con la controparte, quando sia noto che la stessa è assistita da altro collega (art. 41 cdf). In particolare, costituiscono distinte condotte illecite sia l'aver avuto contatti diretti con la controparte che sappia assistita da altro collega (comma 2) sia l'averla ricevuta in assenza di difensore o in difetto di suo esplicito consenso" (CNF, sentenza n. 152 dell'11 luglio 2023).

Nel caso di specie, il Consiglio ha ritenuto evidente la piena sussistenza della condotta deontologicamente vietata dall'art. 41 CDF, rilevando, dall'allegata documentazione, che il ricorrente ha avuto piena contezza del ruolo rivestito dal collega di difensore del Condominio del quale non ha neppure riscontrato le diverse diffide a interloquire per la questione controversa unicamente con il difensore del Condominio.

Quanto all'utilizzo delle espressioni denigratorie, il Consiglio ha ricordato che integra la violazione degli artt. 42 e 56 CDF la condotta dell'Avvocato che "esprime apprezzamenti denigratori sull'asserita incapacità professionale del collega di controparte giacché ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell'espletamento dell'attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l'avvocatura svolge nella giurisdizione" (CNF sentenza n. 73 del 13 marzo 2024). 

 In relazione all'utilizzo, nella carta intestata delle missive inviate alle controparti, del titolo di Cassazionista non conseguito, il Consiglio ha affermato che "la condotta dell'Avvocato che utilizzi, nella carta intestata del proprio studio, il titolo di Avvocato Cassazionista pur non avendo mai effettivamente conseguito detto titolo, integra gli estremi della violazione prevista e sanzionata dall'art. 36 CDF, a nulla rilevando che lo stesso presenti tutti i requisiti formali e sostanziali per aver diritto al detto titolo di Avvocato Cassazionista e manchi soltanto la formale iscrizione".

Il giudice disciplinare ha, pertanto, ritenuto congrua la sanzione della sospensione di sei mesi dall'esercizio della professione forense applicata dal CDD,in considerazione della gravità e della natura del comportamento deontologicamente non corretto che si è è appalesato dalla complessiva valutazione della fattispecie concreta (cfr. Cass. SS.UU. 13791/12).

A parere del giudice disciplinare, infatti, dal comportamento dell'incolpato si desume un grado di colpa particolarmente intenso, dal momento che egli non ha ammesso la propria responsabilità, laddove l'ammissione di responsabilità avrebbe potuto mitigare la sanzione disciplinare (cfr. CNF, sentenza n. 28 del 7 marzo 2023).

Per i suesposti motivi, il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso. 

 

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