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Raffaello Lambruschini, il patriota: "Chi è il buon educatore"

Raffaello Lambruschini, il patriota: "Chi è il buon educatore"

Raffaello Lambruschini (Genova, 14 agosto 1788Firenze, 8 marzo 1873) è stato un politico, agronomo e pedagogista italiano.

Nato a Genova il 14 agosto del 1788 da Luigi Lambruschini e Antonietta Levrero. Inizia gli studi nella città natale, proseguendoli successivamente a Livorno, dove il padre si era trasferito con la famiglia a causa del suo commercio ed anche per il rientro al governo dei francesi dopo la battaglia di Marengo.

Successivamente, per assecondare il desiderio della sua famiglia, Raffaello si trasferì a Roma per seguire gli studi teologici e la carriera ecclesiastica, sotto la sorveglianza dei due zii paterni, Mons. Giovanni Battista ed il sacerdote paolino Luigi Lambruschini (futuro cardinale e Segretario di Stato). Terminò la sua preparazione al sacerdozio sotto la guida dei Gesuiti nel seminario Diocesano d'Orvieto. Qui migliorò non solo la sua formazione classica, indispensabile per chi voleva intraprendere una rapida e brillante carriera prelatizia, ma aveva potuto anche confrontarsi con le nuove idee di libertà, giustizia ed eguaglianza, portate da numerosi fuoriusciti napoletani. Il contatto con questi esuli ha influito sulla sua formazione civile e politica, aprendosi verso istanze più egualitarie e umanitarie, specie nel campo dell'educazione e della formazione dei giovani, definendo i principi morali e civili che dovranno essere sviluppati nei giovani attraverso l'educazione.

Il 18 febbraio 1812 venne arrestato e deportato in esilio in Corsica, durante il quale tenne corrispondenza con Angelo Mai e lesse numerose opere, tra le quali possiamo citare la Théorie élémentaire de la botanique, che in futuro gli avrebbe aperto gli occhi sull'astrattezza dei procedimenti delle scienze teologiche e morali avviandolo ad un modo più sperimentale e critico di porsi di fronte ai problemi, al fine di applicare i progressi raggiunti dalle scienze per attuare una cultura nuova.

Questo periodo di esilio venne denominato più tardi dallo stesso Lambruschini come "la sua vera rigenerazione spirituale". 

R. Lambruschini, Della educazione, [1849], Introduzioni e note di Mario Casotti, V edizione, La Scuola, Brescia 1944.


Capitolo II - Uffizi dell'educatore, pp. 77-78
«[…] L'educatore esercita l'autorità della famiglia e ne adempie i doveri, verso l'uomo che nella famiglia nasce, e per la famiglia entra nella vita esteriore dello spirito: alla vita per sé, alla vita pei simili a sé. L'educatore porge così al fanciullo bisognoso di tutto i sussidi che il fanciullo nato per la società deve attendere dalla società, perché un giorno possa retribuirla coi suoi servigi.
Sussidi pari a quelli che le altre sociali autorità porgeranno un giorno a lui divenuto adulto; e sussidi tutti proprii di questa paterna e materna autorità; la quale, se a guisa che la gallina i pulcini, fa schiudere e crescere le potenze del corpo, altresì fomenta e invigorisce e governa le spirituali potenze del fanciullo, e ne previene o ne risana le malattie, e predispone così e mena il fanciullo a ricevere i soccorsi della sapienza umana e divina.
L'educazione dunque ha due grandi uffizi: 1. di dar mano allo spiegarsi, al rinvigorire, al non deviare, all'operare regolato delle forze intrinseche della nostra natura; 2. di recare anticipatamente al fanciullo il soccorso di quelle cognizioni, di quelle norme e di quegli aiuti, che dalla società egli deve ricevere, per la osservanza della legge morale del suo spirito in pro suo stesso, e in pro degli uomini suoi consorti.
Quali difficoltà si parino dinanzi nell'adempimento di questi altri uffizi; per quali disposizioni debba l'educatore preparare se stesso a superarle; con quali modi possa e debba la sua opera essere esercitata, noi esamineremo nei capitoli seguenti; e vedremo così a mano a mano aprirsi ai nostri occhi le parti del difficile magistero dell'educazione; le quali come in iscorcio sono inchiuse nella generalità delle cose da noi stabilite».
Capitolo III - Difficoltà dell'educare, disposizioni dell'educatore, pp. 79-81
L'educatore adunque è più cooperatore che operatore dell'educazione del fanciullo. Se l'opera è ben condotta, sarà il fanciullo quello che veramente educherà se stesso. Il padre e la madre, o chi è in luogo di loro, non mettono il bene nell'animo del fanciullo, ma ve lo fanno nascere. Il loro ufficio è spesso più di osservare che di fare; e il fare è l'azione che prepara, che pone in condizioni propizie, che aiuta l'operazione interiore dello spirito del fanciullo; ma non la preoccupa mai, non si scambia a lei, non la impedisce, non la turba. E' saggezza che veglia attenta e spia il bisogno e l'opportunità di intervenire; ma non interviene mai per proprio piacere; interviene anzi di meno che può. E' amore disinteressato che non opera per sé, ma pel bene altrui; che rispetta la libertà e la dignità dell'uomo ancor nelle fasce, e lo contrista il meno che può; ma pure sa contenerlo e contristarlo a salute. E' accorgimento che giunge a far divenire pensiero e volontà dell'educato, il pensiero e la volontà dell'educatore; che sa farsi obbedire, stimare e riamare, anco allorquando egli è costretto di dispiacere.
Insomma, i depositari dell'autorità della famiglia sono i ministri d'una Provvidenza materna, che ha voluto far concorrere l'opera scambievole dell'uno sopra l'altro uomo, al loro intellettuale e morale incremento, acciocché i vincoli della famiglia e della società si stringessero viemaggiormente, e si suscitasse in loro e si mantenesse quel sentimento di fraternità, che apre l'animo all'amore del Padre che è in cielo.
Le difficoltà dell'educare stanno dunque, più che altrove, nell'educatore. Ecco la gran conseguenza che scende dal giusto concetto di quel che può e di quel che deve l'educazione. Ecco in qual modo l'educazione è difficile, grandemente difficile. Ma ecco insieme perché l'educazione è ufficio così augusto, così utile ai medesimi educatori, e così soave di quella celeste soavità che ristora l'anima illanguidita dalle miserie della terra.
Il senno, l'operosità e soprattutto le virtù dell'educatore, sono adunque condizione prima dell'educare. E non sono soltanto, perché l'educatore ha da essere l'esemplare, la forma dell'educato (di che diremo parlando de' modi co' quali l'opera educatrice si esercita), ma sono altresì condizione impreteribile, in qualità di potenza dominatrice della volontà dei fanciulli, e la sola che invincibilmente e paternamente la padroneggi; sono tali ancora come sostegno e conforto di chi educa, affin di reggere i pesi e soffrire le noie dell'educazione».

 

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