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L’intimazione di pagamento si può impugnare se la pretesa del Fisco è prescritta?

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Riferimenti normativi: Art.50 D.P.R.n.602/1973 – Art.19 D.Lgs.n.546/1992

Focus: L'Agenzia delle Entrate-Riscossione invia le cartelle di pagamento ai contribuenti che hanno un debito nei confronti degli enti impositori per recuperare quanto da loro dovuto. Quando il debito contenuto nella cartella non viene pagato dal contribuente nei termini di legge e l'ente di riscossione intende procedere con gli strumenti dell'esecuzione forzata il Fisco invia un avviso di intimazione di pagamento al contribuente. L'avviso di intimazione può essere impugnato in giudizio se la prescrizione del credito è maturata prima della notifica dell'intimazione? Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20476/2025.

Il caso: A seguito del mancato pagamento di dieci cartelle, l'Agente della Riscossione aveva notificato al contribuente un avviso di intimazione di pagamento da questi impugnato con ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. Il ricorrente lamentava l'inesistenza della notifica delle prodromiche cartelle di pagamento ed eccepiva il decorso dei termini di prescrizione quinquennale. Gli Enti creditori e l'Agente della Riscossione, dall'altro lato, si erano costituiti in giudizio. L'Agente delle Riscossione aveva eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso, ai sensi degli artt.19 e 21 D.Lgs.n.546/1992, e, nel merito, la ritualità della notifica, sia delle sottese cartelle di pagamento sia degli ulteriori atti interruttivi della riscossione, oltre all'applicabilità ai crediti erariali del termine di prescrizione decennale decorrente dalla data di notifica dell'ultimo atto interruttivo notificato al contribuente. 

La Corte di giustizia tributaria di primo grado aveva rigettato il ricorso del contribuente per una cartella, mentre lo aveva accolto per le cartelle rimanenti distinguendo, però, tra la prescrizione decennale del credito, che non si era verificata per le imposte, e la prescrizione quinquennale per le sanzioni e gli interessi, obbligazioni per le quali era decorso il termine di prescrizione quinquennale in quanto tra la notifica dell'atto di pignoramento presso terzi ed il successivo avviso di intimazione erano passati più di cinque anni. Di conseguenza, la sentenza era stata impugnata dall'Agente della Riscossione con appello nel quale contestava l'operato del giudice di prime cure perché non era decorso il temine di prescrizione quinquennale applicabile alle sanzioni ed agli interessi, tenuto conto anche dei periodi di sospensione previsti dalla normativa emergenziale adottata durante la pandemia. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado aveva respinto l'appello e la sentenza emessa dal giudice era stata impugnata dall'Agente di riscossione con ricorso in Cassazione per il solo motivo che il giudice di secondo grado non aveva tenuto conto del fatto che gli avvisi di intimazione notificati non erano stati tempestivamente impugnati dal contribuente. Secondo l'ente ricorrente non essendo stati impugnati tempestivamente gli avvisi di intimazione le sottese pretese creditorie, comprensive di interessi e sanzioni, si erano ormai cristallizzate, quindi eventuali fatti estintivi antecedenti alla loro notifica, quali il già decorso termine di prescrizione, non potevano più essere contestati. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo del ricorso facendo chiarezza sulla natura dell'intimazione, già oggetto di precedenti pronunce giurisprudenziali, e sulla riconducibilità della stessa all'avviso di mora, di cui all'art.19 del D.Lgs.n.546/1992, tra gli atti tipizzati impugnabili davanti alla Corte di giustizia tributaria. 

La Corte ha richiamato alcune pronunce minoritarie della stessa con le quali i giudici di legittimità avevano ritenuto che intimazione e avviso di mora fossero due atti differenti, poiché l'avviso di mora era previsto nel previgente art.46 del D.P.R.n.602/1973. Pertanto, secondo quest'orientamento giurisprudenziale, in caso di definitività dell'intimazione, trattandosi di documento facoltativamente impugnabile, non si determinava la cristallizzazione della pretesa impositiva perché il contribuente avrebbe sempre potuto far valere le sue ragioni sostenendo l'intervenuta prescrizione in una fase posteriore, quale il pignoramento. Con altre pronunce giurisprudenziali, invece, la Corte di Cassazione si era espressa diversamente sulla natura dell'avviso di intimazione - quale atto il cui scopo è quello di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all'esecuzione forzata - ritenendo che lo stesso non fosse impugnabile facoltativamente ma che fosse un atto necessariamente impugnabile assimilato all'avviso di cui all'art.50, comma 2, D.P.R.n.602/1973. L'art.50 del D.P.R.n.602/1973 stabilisce che "l'Agente della riscossione, decorso un anno dalla notifica del titolo esecutivo (cartella o accertamento esecutivo), prima di avviare il pignoramento deve notificare un avviso contenente l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni". Detto "avviso", secondo le Sezioni Unite della Corte Suprema (Cass. Sezioni Unite 31/03/2008, n. 8279, Cass.14/09/2022 n.27093), corrisponde all' "avviso di mora", già previsto nel testo abrogato dell'art. 46 del D.P.R.n.602/1973, e rientra tra gli atti impugnabili espressamente indicati dall'art.19, comma 1, lett. e) del D.Lgs.n.546/1992. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20476/2025, dando continuità al suddetto orientamento, ha affermato il principio di diritto che l'intimazione è sostanzialmente equipollente all'avviso di mora e "se l'avviso di intimazione non è impugnato nei termini decadenziali determina la cristallizzazione della pretesa impositiva, e in particolare preclude al contribuente di eccepire la prescrizione compiutasi anteriormente allo spirare dell'anzidetto termine". Pertanto, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso cassando la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, al fine di conformarsi al citato principio di diritto. 

 

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