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"Con il mio moncherino mi asciugo le lacrime". Storia di Anna, gambe e braccia amputate e nessuno paga

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Una storia incredibile, quella di Anna Leonori, narrata dal Corriere della Sera in un articolo di Fausta Chiesa. Una storia che ha alcuni protagonisti. Lei, Anna, una cittadina comune, certamente non benestante, che come tanti ha accusato seri problemi di salute e, nel breve volgere di qualche mese, si è trovata senza le gambe e le braccia, ridotta in questo stato - sostiene lei e il suo avvocato, Francesca Abbati, che proprio in questo giorno ha fatto recapitare ad un ospedale di Roma e un altro di Terni una lettera di diffida, richiedendo l'apertura di un sinistro, oltre ad un adeguato risarcimento dei danni e con riserva di costituzione di parte civile in un instaurando procedimento penale - dall'estrema disilvoltura dei sanitari che si sono occupati di lei. Gli altri protagonisti di questa storia sono proprio loro, i sanitari. La storia di Anna ci ha colpito, soprattutto perché l'intervento da lei richiesto non è o non sembra essere a noi che tecnici non siamo un intervento di particolare complessità, ma piuttosto uno di routine, come si dice. Una routine che può condannare un uomo o una donna, talvolta, ad una punizione che si approssima alla morte. Ed è per questo che anche noi accendiamo i riflettori intorno a questa vicenda umana ed esistenziale, del cui Inter cercheremo di informare anche in prosieguo i nostri lettori.

 «La mia tragedia comincia nel 2014, quando ricevo una diagnosi di tumore maligno del quarto grado alla vescica. Decido di rivolgermi altrove e dopo nuovi accertamenti vengo operata a Roma, dove mi asportano utero, ovaie, 40 linfonodi e la vescica, sostituita con un organo artificiale. Ma all'esito dell'esame istologico e arriva la sorpresa: è completamente tutto negativo. In tutte le parti asportate non c'era l'ombra di quel cancro temibile». Ma non è che l'inizio dei suoi problemi, in quanto i dolori si succedono e  la vescica artificiale non funziona come dovrebbe.

Da qui al ricovero, per 80 giorni, il passo almeno per i sanitari, è stato breve. E per una amputazione di tutti e quattro gli arti, gambe e braccia, in quanto in necrosi e per evitare problemi maggiori. Ma le domande sono tante, a partire dalla prima, decisiva: era proprio necessario procedere a quelle amputazioni? E poi, ancora. Non sarebbe stato possibile evitarle se la protesi fosse stata correttamente collocata?

Lei dice: «Dopo tante difficoltà riesco a camminare con le protesi. Con il mio braccio amputato mi trucco, uso il telefono, mi asciugo le lacrime. Ma non riesco a soffiarmi il naso, a tenere un cucchiaio, ad appoggiarmi mentre scendo le scale: avrei bisogno però di protesi superiori che l'Asl non fornisce. Il preventivo è alto e non credo riuscirò mai ad avere quella somma». Più che mai determinata, questa donna ha anche lanciato una sottoscrizione, e la solidarietà di tante persone, piccoli, insegnanti, compagni di scuola dei suoi figli, hanno consentito, fino a questo momento, di raccogliere circa 60mila euro, quasi i due terzi dei 90mila necessari. La donazione più consistente è stata quella della «Voglio ringraziare tutti coloro che hanno voluto dare un contributo, piccolo o grande che sia. Non voglio perdere la speranza di poter prima o poi conquistare un minimo di autonomia. Grazie di cuore anche a chi mi dedica solo un pensiero».

 

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