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Con l'approvazione da parte del Senato dell'articolo 2 del disegno di legge costituzionale Nordio-Meloni – che istituzionalizza la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri – il percorso di destrutturazione del modello italiano di giustizia voluto dalla Costituente compie un ulteriore passo avanti. A nulla sono valse le critiche pressoché unanimi di costituzionalisti, processualpenalisti, ex Presidenti della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura, dei Consigli giudiziari e delle rappresentanze associative della magistratura: il Governo e la sua maggioranza procedono in modo compatto nel sovvertimento del principio, scolpito nell'art. 104 Cost., di una magistratura ordinaria unitaria e autonoma, funzionalmente articolata ma culturalmente coerente.
L'esperienza comparata dimostra come, proprio nei sistemi in cui la pubblica accusa è separata dalla giurisdizione e sottoposta a forme più o meno dirette di controllo politico, si moltiplichino le contraddizioni: dall'erosione dell'indipendenza del pubblico ministero alla progressiva compressione dell'obbligatorietà dell'azione penale, fino all'aumento delle interferenze nei procedimenti a rilevanza politico-istituzionale. Non è un caso che, proprio in questi ordinamenti, si guardi con interesse al modello italiano, che rappresenta una rara sintesi tra autonomia del pubblico ministero e controllo giurisdizionale.
La scelta della maggioranza italiana si muove invece in direzione opposta, con motivazioni che sfuggono a qualunque logica funzionale o tecnico-istituzionale. A muovere il disegno non è la volontà di migliorare il sistema giudiziario, ma una finalità ritorsiva e delegittimante nei confronti della magistratura, accusata – senza prove né numeri – di politicizzazione. Il rischio, però, è quello classico dell'eterogenesi dei fini: minare il sistema in nome di una presunta neutralità equivale a disarmare la giurisdizione di fronte al potere, compromettendo in definitiva le garanzie dei cittadini, non solo nei procedimenti penali, ma in tutti i contesti in cui la legalità costituzionale deve essere tutelata contro gli abusi del potere politico o economico.
La posta in gioco è altissima e riguarda l'equilibrio tra poteri e la natura stessa dello Stato costituzionale di diritto. Toccherà ora al corpo elettorale – attraverso il referendum confermativo – pronunciarsi su una riforma che, pur avvolta in un linguaggio tecnico e apparentemente neutro, cela una profonda revisione dell'assetto democratico. È tempo che il dibattito si apra con chiarezza, rigore e passione civile, per respingere un progetto che richiama i peggiori precedenti storici perchè non può dimenticarsi che questa era anche la proposta contenuta nel famigerato Piano di rinascita democratica di Licio Gelli e della sua P2, e che nulla ha a che vedere con una giustizia più efficiente, imparziale o vicina ai cittadini.
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