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Sent. C. Giustizia: minimi tariffari avvocati incompatibili con UE, a rischio equo compenso

La sentenza è di quelle che pesano, destinate ad esercitare un fortissimo impatto sugli ordinamenti e sulle prassi nazionali.

La Corte di Giustizia UE con sentenza del 23.11.2017 emessa in esito alle cause C-427/16 e C-428/16, ha infatti dichiarato come contraria al diritto dell´Unione la possibilità, per gli Stati membri, di imporre tariffe minime riguardo l´esercizio delle professioni, anche legali o, ancor più precisamente, l´assoluta libertà delle parti di convenire un corrispettivo al di sotto di tariffe esistenti.

La Corte di Giustizia ha infatti ritenuto centrale l´accordo tra il committente e il professionista. Tale accordo, ha rilevato la Corte, consente In nome del principio dell´autodeterminazione e della liberalizzazione del mercato, di pattuire tariffe anche ampiamente al di sotto di eventuali minimi stabiliti da autorità nazionali, dunque in primo luogo da autorità di controllo e di vigilanza sulle professioni liberali.

Una tale previsione è infatti, a parere della corte, del tutto illegittima in quanto lesiva dei principi generali dell´ordinamento comunitario, con la conseguenza che il giudice nazionale, eventualmente chiamato a decidere una controversia azionata con un ricorso avverso una regolamentazione a monte che impedisca il libero manifestarsi della volontà negoziale, non può che accogliere lo e dichiarare tale disciplina illegittima, disapplicandola nel caso concreto.

Da comprendere, quali potranno essere le conseguenze di tale pronuncia. Nella situazione di mercato attualmente esistente in Italia, segnata da una profonda crisi, le conseguenze sono facilmente immaginabili, e se potranno essere favorevoli per i consumatori, difficilmente potranno portare ad equivalenti soddisfazioni per i professionisti e per gli avvocati.

Da un lato, infatti, i committenti pubblici quali Conuni ed altre amministrazioni, enti a partecipazione pubblica si riterranno legittimati a definire regolamenti o comunque a praticare prassi che proiettino al ribasso il costo delle prevedibili prestazioni professionali e legali, non essendo più vincolate da principi quali un compenso minimo al di sotto del quale non sia possibile scendere, dall´altro i clienti individuali privati - consapevoli della mancata esistenza di un minimo - potranno liberamente negoziare con il professionista il corrispettivo per la prestazione in questione, già all´atto del conferimento dell´incarico, anche alla luce delle nuove disposizioni nazionali che prevedono l´immediata pattuizione degli aspetti economici della prestazione.

Un rischio, tuttavia, si registra anche a proposito delle nuove norme sull´equo compenso. Il dictum della Corte di Giustizia infatti, oltre a non far più ritener praticabili le prassi imposte dagli organi di governo delle professioni liberali, come, per quella legale, il CNF, rischia seriamente di scardinare la stessa possibilità, anche per il legislatore, di poter prevedere, con fonte primaria, minimi inderogabili a fronte della erogazione di prestazioni legali, atteso che il principio enunciato dalla Corte si estenderebbe anche all´ipotesi in cui esse siano convenute tra due professionisti.
Bisognerà leggere attentamente la sentenza per capire se ancora residui uno spazio del genere.

I principi affermati dalla Corte:
1) l´articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l´articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale (come quella esaminata nei procedimenti principali) che, da una parte, non consenta all´avvocato e al proprio cliente di concordare un onorario di importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un´organizzazione di categoria dell´ordine forense (nella specie il Vissh advokatski savet Bulgaro, equivalente al nostrano CNF), a pena di procedimento disciplinare a carico del legale, e, dall´altra, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari di importo al di sotto di quello minimo, restringe i meccanismi della concorrenza nel mercato interno (ai sensi dell´articolo 101, paragrafo 1, TFUE).

2) compete al giudice del rinvio verificare se la richiamata normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi, e se le restrizioni in tal modo stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l´attuazione di tali legittimi obiettivi.

3) L´articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l´articolo 4, paragrafo 3, TUE e con la direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l´esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale (come quella oggetto dei procedimenti principali) per effetto della quale alle persone giuridiche e ai lavoratori autonomi del settore del commercio spetta la rifusione degli onorari d´avvocato, disposta dal giudice nazionale, qualora siano stati assistiti da un consulente giuridico.

4) L´articolo 78, primo comma, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d´imposta sul valore aggiunto (la nostra IVA), deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale (come quella oggetto dei procedimenti principali) in forza della quale l´imposta sul valore aggiunto costituisca parte integrante degli onorari d´avvocato registrati, se ciò produca l´effetto di un doppio assoggettamento all´imposta sul valore aggiunto degli onorari medesimi.

 

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