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Quarant’anni fa l’uccisione di Piersanti Mattarella

rizzo

Il 6 gennaio 1980, la domenica dell'Epifania, mentre con la famiglia stava per recarsi in auto a messa, un giovane killer spara a ripetizione sul corpo di Piersanti Mattarella, Presidente dimissionario della Regione Sicilia. Un Presidente che aveva creato moltissime speranze per un futuro diverso nel modo di "fare politica".

Piersanti Mattarella era un fervente cattolico, figlio di Bernardo più volte deputato e ministro del Governo nazionale, e allievo prediletto di Aldo Moro. Anch'egli chiamato a pagare lo scotto del "cambiamento" in un mondo in cui i "cambiamenti" sono forieri di disgrazie.

Gli anni Settanta e Ottanta furono funestati di tantissimi "omicidi eccellenti", soprattutto in Sicilia, giornalisti, politici, sindacalisti, segretari di partito.

Ed in questo clima che prima viene eliminato il "Maestro". Dopo l'"Allievo".

Infatti. Non è facile parlare di Piersanti Mattarella senza aver presente l'impegno di Aldo Moro.

Aldo Moro si avviava alla formazione di un Governo di Solidarietà Nazionale. Mentre Piersanti Mattarella aveva dato vita in Sicilia ad un Governo con i Partiti del cosiddetto "Arco Costituzionale" e con l'appoggio esterno del Partito comunista italiano.

Il "Corriere della sera" ha ristampato, lo scorso mese di dicembre, un interessantissimo libro di Giovanni Grasso, giovane biografo di Piersanti Mattarella, "Piersanti Mattarella. Da solo contro la mafia", con la prefazione di Andrea Riccardi.

Il libro era stato pubblicato dalle edizioni San Paolo nel 2014. E questa ri-proposta ci sembra quanto mai opportuna.

Pio La Torre, altra figura "scomoda", pagherà con la vita il 2 aprile 1982, perché credeva in un futuro diverso e perchè, soprattutto, lottò, come Piersanti Mattarella, affinchè venissero spezzati i vincoli tra politica ed organizzazioni mafiose, politiche e terroristiche.

E sarà proprio Pio La Torre, dalle pagine dell "'Unità", l'allora quotidiano del Partito comunista italiano, a spiegarci, subito dopo l'omicidio di Mattarella "l'analogia politica" tra Aldo Moro e Piersanti Mattarella: "Allora, per colpire Moro, fu scelto il giorno in cui la Camera stava per discutere la fiducia al governo di solidarietà nazionale. Oggi, si colpisce Mattarella mentre è aperta una crisi decisiva per la vita della Regione siciliana: cioè quando si chiude la fase del centro-sinistra e si apre un confronto tra tutte le forze democratiche dell'isola per dare uno sbocco unitario e positivo alla direzione politica della Regione. Mattarella era un punto di riferimento decisivo per questo confronto politico. Per questo lo si è colpito" (pag.42) 

E non solo per questo.

Ce lo ricorda, nella Prefazione di questo libro Andrea Riccardi:

"Nei mesi della sua presidenza, procede spedito e con decisione a porre le basi di una nuova politica, una seria opera di programmazione economica e di intervento nell'economia, che colpiva gli interessi oscuri. Proprio per queste scelte, si addensavano su di lui ombre minacciose. Mattarella giunse a toccare l'edificabilità con la legge urbanistica, intervenendo sul mondo degli appalti e delle opere pubbliche. Sono fatti noti, come l'intervento sulle sei scuole a Palermo, che violava un santuario mafioso. Mattarella toccava in profondità gli interessi dei boss colpendo le strutture in cui si erano annidati. E infatti nei cassetti dell'ufficio del presidente furono trovate numerose lettere minatorie. Su di lui gravava un'ombra di morte".

Luigi Di Maio, nei giorni scorsi, mentre motivava le sue dimissioni da "capo politico" del Movimento 5Stelle ha detto una cosa sensata, forse l'unica (?): "I veri nemici sono dentro il Movimento". Solo che si tratta di "nemici" senza storia" che alla fine si metteranno d'accordo per la prossima scalata.

I "nemici" di Piersanti Mattarella erano di altra "caratura". Erano compagni di partito politici e mafiosi, nello stesso tempo. E' sufficiente fare i nomi delle figure di spicco di quell'epoca: Vito Ciancimino, assessore all'urbanistica del comune di Palermo, e dopo sindaco; Salvo Lima anch'egli amministratore del Comune, i cugini Salvo… che mediavano con la "Cupola di Cosa nostra".

Si è parlato di "Sacco di Palermo" che ne ha sconvolto il tessuto urbano.

La gestione del sindaco Lima e di Ciancimino assessore ai lavori pubblici viene fortemente stigmatizzata dalla Commissione antimafia nel 1976: 

"Troppi e gravissimi scandali si sono perpetuati durante la sua amministrazione. Un periodo segnato indelebilmente dal "Sacco di Palermo-: giardini, ville, viali alberati e splendide palazzine del primo Novecento sono stati rasi al suolo per permettere la costruzione di altissimi palazzoni di cemento che hanno sfigurato per sempre il volto liberty della città. E la gestione Lima, con assessore ai Lavori Pubblici Vito Ciancimino, si è contraddistinta per enormi irregolarità nella concessione delle licenze edilizie. Un quadro sconcertante, una somma mai vista di illegalità, arroganza, favoritismo, insensibilità urbanistica che ha coinvolto costruttori, politici, dipendenti pubblici. La relazione della Commissione parlamentare antimafia del 1976 nota a questo proposito:

"Delle 4.000 licenze edilizie rilasciate nel suddetto periodo, 1.600 figurano intestate a Salvatore Milazzo, 700 a Michele Caggegi e 200 a Lorenzo Ferrante, e cioè a tre pensionati, di modeste condizioni economiche, che non avevano nulla a che fare con l'edilizia e che, evidentemente, erano i prestanome di costruttori edili.

La speculazione edilizia è una costante italiana di quegli anni di disordinato benessere, ma a Palermo è entrata in gioco la specificità geografica: molte delle licenze comunali sono state assegnate, direttamente o indirettamente, a imprese edili (quasi sempre le stesse) controllate o vicine a Cosa Nostra" (pagg. 89/90).

Piersanti Mattarella, sia come consigliere comunale, che come assessore e, soprattutto, come sindaco si confronta con lo squallore istituzionale politico-mafioso, organizzando il "Gruppo politica", con gli insegnamenti di Aldo Moro e con le indicazioni del pensiero di don Luigi Sturzo

"Gruppo politica" che si interessa di formazione chiamando a Palermo i "maestri" del pensiero politico-cattolico. Un "Gruppo" che si affida alle lezioni dei più qualificati intellettuali "… Pietro Scoppola, Gabriele De Rosa, Achille Ardigò. Erano maestri chiari e puliti, profondi e concreti, vicini alla politica ma liberi da ogni gioco di potere. Il rinnovamento politico aveva bisogno delle idee, delle ricostruzioni storiche e delle letture sociologiche che essi proponevano. Il dibattito, il convegno, il confronto culturale erano il pane quotidiano di chi, in quegli anni, pensava che la politica non potesse essere disgiunta dalla idee e dalla cultura", come ci ricorda Andrea Riccardi.

La lettura di questo libro potrebbe far nascere la voglia di ricominciare con la politica, dopo essere passati al vaglio del saper "leggere, scrivere e far di conto." 

 

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