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Pubblicità camuffata apparentemente in contesto informativo: costituisce pratica commerciale scorretta

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Un messaggio pubblicitario perché sia lecito deve fornire informazioni vere e complete. «L'omissione di informazioni ‒ censurabile nella misura in cui riguardi elementi fondamentali e necessari a comprendere esattamente il contenuto della comunicazione pubblicitaria per poi poter effettuare la scelta del prodotto o del servizio ‒ va sanzionata tanto quanto la non corrispondenza al vero delle stesse». L'ingannevolezza di un messaggio pubblicitario può risiedere anche nell'utilizzo di termini inappropriati il cui significato non corrisponda fedelmente al bene o servizio offerto.

Questo è quanto ha ribadito il Tar Lazio con sentenza n. 13953 del 23 dicembre 2020.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici amministrativi.

I fatti di causa

La ricorrente è una società che ha pubblicizzato una sigaretta elettronica a marchio di altra società. Essa è stata sanzionata dall'Autorità Garante per la concorrenza e il mercato per pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2 e 22, comma 2, del Codice del Consumo. A dir della ricorrente il provvedimento sanzionatorio in questione è illegittimo.

Il caso, pertanto, è giunto dinanzi al Tar.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione del Tar

Innanzitutto, il Tar, esaminando la fattispecie in esame, sottolinea che «la liceità della comunicazione pubblicitaria ‒ oltre che sotto il profilo della veridicità dei suoi contenuti ‒ va valutata anche con riguardo alla sua veste esteriore. Il carattere ingannevole, in particolare, può riguardare le modalità con cui un messaggio veicola un determinato bene o servizio, quando incidono sulla capacità dello stesso di comprendere l'esatta natura di ciò che gli viene offerto, manipolandone artificialmente il processo selettivo». 

Questo sta ad indicare che può essere ingannevole quel messaggio che, a prescindere dal contenuto veritiero dello stesso, viene veicolato in una forma espositiva apparentemente neutrale e disinteressata, ma che, nella realtà, occulta più che il contenuto del messaggio stesso, la sua funzione, ossia viene veicolato in una forma espositiva che appare estranea all'ambito concorrenziale e quindi non strumentale alla vendita del prodotto. In tali casi, «il carattere insidioso della pubblicità occulta risiede [...] nella sua capacità di intaccare le risorse critiche alle quali il pubblico è solito ricorrere dinanzi a una pressione pubblicitaria palese». Per tale motivo la pubblicità occulta rientra in una pratica commerciale scorretta se:

  • «si concreta nella ripetuta esibizione, in modo apparentemente casuale, all'interno di un film o di una trasmissione televisiva, di prodotti o di servizi i cui marchi risultano ben riconoscibili»;
  • si concreta in «pubblicità c.d. «redazionale», quella cioè rivolta al pubblico con le ingannevoli sembianze di un normale servizio giornalistico».

In tale ultimo caso, «l'effetto provocato dalla pubblicità redazionale consiste nell'influenza sulla credibilità del messaggio prodotta dalle intenzioni che il lettore attribuisce a chi comunica. Infatti, mentre il consumatore è consapevole del fatto che le intenzioni dell'impresa che pubblicizza i propri prodotti o servizi sono di condizionarne il comportamento spingendolo all'acquisto, viceversa al giornalista o alla redazione di un giornale non viene associato alcun vantaggio personale derivante dalla decisione del consumatore di orientarsi verso l'acquisto di un determinato prodotto». 

Orbene, tornando al caso di specie, è emerso che il messaggio pubblicitario della ricorrente è un messaggio «camuffato in un contesto solo apparentemente informativo». In buona sostanza, si tratta di un messaggio:

- la cui descrizione è insistente ed enfatica e viene riportata all'interno di articoli di stampa aventi oggetti del tutto estranei al prodotto;

- che rappresenta fotograficamente il prodotto con specifiche inquadrature sul marchio non strumentali alle finalità degli articoli di stampa in cui compare e in modo non coerente con il contesto narrativo e fotografico dei servizi contenuti in detti articoli;

- in cui sono prospettati vantaggi derivanti dall'utilizzo del prodotto pubblicizzato e consensi ricevuti dai consumatori; prospettazioni, queste, che risultano del tutto avulse dal contesto degli articoli;

- che non rende possibile far riconoscere la natura promozionale degli articoli in cui è inserito, «non essendo stato adottato alcun accorgimento o indicazione che renda evidente ai consumatori la natura promozionale dei predetti articoli, con espressioni quali "informazione pubblicitaria" o con l'utilizzo di un format grafico da far distinguere la diversa natura del messaggio de quo».

In forza di tali evidenze, pertanto, secondo i Giudici amministrativi, il messaggio pubblicitario della ricorrente rientra nell'ambito della pratica commerciale scorretta, nei termini su descritti. Con l'ovvia conseguenza che, ad avviso del Tar, i) bene ha agito l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell'emettere il provvedimento sanzionatorio impugnato; ii) l'impugnazione della ricorrente è infondata e come tale va respinta. 

 

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