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L'articolo 48 del codice deontologico forense vieta di produrre, riferire o riportare in atti processuali la corrispondenza intercorsa tra colleghi e qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive, salvo che la produzione stessa sia indispensabile per il perfezionamento di un accordo raggiunto tra le parti o serva ad assicurare l'adempimento delle prestazioni richieste.
Scopo di tale previsione, è quello di salvaguardare il corretto svolgimento dell'attività professionale, consentendo a ciascun avvocato di adempiere al proprio mandato compiendo tutte le attività che reputa necessarie, ivi inclusa quella conciliativa, evitando che eventuali proposte o ammissioni possano essere strumentalizzate.
Con una decisione emessa a fine dicembre 2023, ma resa nota solo alcuni giorni fa (sentenza n. 305/2023), il Consiglio Nazionale forense ha fornito chiarimenti in ordine all'elemento psicologico della fattispecie in questione, affermando la sufficienza, ai fini della configurabilità dell'illecito, della sola "suitas", ossia della mera "coscienza e volontà" della condotta.
Si legge, infatti, nel provvedimento che "la violazione del divieto di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza riservata costituisce illecito deontologico, il quale non è scriminato dalla circostanza che il comportamento stesso sia dipeso da asserita distrazione,
giacché ai fini della sussistenza dell'illecito disciplinare, è sufficiente la volontarietà del comportamento dell'incolpato e, quindi, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la "suitas" della condotta intesa come volontà consapevole dell'atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo finalistico e, quindi, dominarlo.
L'evitabilità della condotta, conclude il provvedimento, delinea, pertanto, la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.