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L'ombra della Colpa - Noi avvocati, equilibristi con in mano un sestante

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 Succede sempre così. Mi fissano un'udienza importante, per stupefacenti, in concomitanza con l'inizio del processo a mio carico. Il decreto di citazione l'hanno notificato al galoppo. Tutto è accelerato con me. Si viaggia senza passare dal via. Due giorni dopo comincerà quello a carico della Salmaso. Non c'è che dire. Ho fortuna all'ennesima potenza. Quando posso, non mi faccio mancare nulla. La ridda dei rinvii e delle udienze va così. Le udienze si sovrappongono le une alle altre e noi finiamo per assomigliare ad equilibristi con in mano un sestante per orientarci. Chiamo Massimo e glielo faccio presente. Mi consiglia di scrivere un'istanza di rinvio per il mio processo, producendo naturalmente il decreto di fissazione dell'udienza preliminare in cui sono difensore.

Nello stesso giorno sarò anche imputato. Una specie di ibrido professionale ed umano, troppo umano. Due identità per la stessa persona ma non per un giorno soltanto. Ormai, questa veste doppia, questo sudario double face, lo indosso ogni mattina e non è esattamente la festa di Pamplona. Non vorrei precipitare dentrouna crisi d'identità. Dopo quella di mezz'età da cui mi sento sfiorare all'alba ed alla sera, quando le forze non sono più quelle di una volta (ma dai ! ma dai il cazzo, sono distrutto, manco avessi arato un campo di avena sotto il sole di Piacenza), adesso sto per affrontare anche una crisi di identità professionale. Sarà vero, sarà vero quello che diceva Papa Hemingway ? Bisogna rassegnarsi ad accettare il fatto che i bivii importanti nella vita si presentino senza segnaletica ? Lascio la filosofia fuori dalla mia testa e scrivo l'istanza di rinvio. Non posso perdere troppo tempo con la mia difesa. Di quella, deve occuparsi il mio difensore. L'ho sempre ripetuto fino alla nausea ai miei clienti. Preoccupatevi di pagarmi l'onorario, a tutto il resto penso io. Oggi tocca a me. Mi concentro sulla Salmaso. Tra quattro giorni devo fare il mio lavoro. Chiamo Agata e le consegno l'istanza di rinvio pregandola di depositarla lei. Devo studiare. Inizia quella fase critica per cui il mondo esterno trascolora, scompare dentro le pagine di un processo. Non vedo più nulla. Mi immergo come un batiscafo dentro la realtà processuale, lontana anni luce da quella quotidiana. Quando, alla sera, esco dallo studio, è come se vedessi i colori per la prima volta. C'è un mondo che si muove fuori dall'ufficio ed a cui non importa nulla dei miei processi, e della mia personale sorte di avvocato imputato. E' meglio andare a casa. Domani devo fare l'imputato. Ho provato a chiedere un rinvio ad horas, ossia dopo qualche ora e non dopo giorni, perché le due udienze sono concomitanti. Ho deciso di arrivare mezz'ora prima a quella dove sono imputato e vedere come butta. Poi deciderò. Noi si vive così. Sul filo dell'incertezza. Ve l'ho detto. Siamo equilibristi dell'anima. Come Philippe Petit in mezzo alle due Torri Gemelle, guardiamo giù, verso l'abisso, dove si perdono tutti i contorni dell'umano.

 Quando arrivo in tribunale, non c'è nessun giornalista. O non interessa il mio processo oppurefanno i teneri con me. Propendo per la prima soluzione.Massimo è seduto al suo posto. Il Giudice sta tenendo udienza normalmente. Agata piantona il processo per stupefacenti dove devo andare a difendere un mio cliente, Jamel, uno spacciatore di medio calibro che si è affezionato a noi. Sostiene che il sottoscritto sia un avvocato capace di far saltare ogni congegno accusatorio guardandolo una sola volta. E' un romantico, Jamel. Agata ha già avvertito il Giudice che potrò tardare. Con la coda dell'occhio vedo che arriva il PM, il mio Tardito. Lo ha accompagnato l'autista. Quando il Giudice lo vede, gli fa cenno che di lì a poco tratterà il mio fascicolo. Mi sembra di scorgere una ruga di imbarazzo sul suo viso. E' un buon giudice, senza lampi al fosforo ma capace di macinare il proprio lavoro con serietà. Un giudicante apprezzabile. Si chiama Sprati ed ha una certa età. Una garanzia di equilibrio. Con i capelli bianchi, è napoletano, e cerca sempre di trovare un accomodamento tra le parti. Ho iniziato a lavorare con lui quando esisteva ancora la pretura. E' stato il giudice della mia giovinezza ed ora me lo ritrovo qui, a giudicarmi. Mi siedo vicino al mio difensore. Sono elegantissimo. Almeno mi sembra di esserlo. Mio padre mi ha insegnato che agli appuntamenti importanti è necessario presentarsi in modo adeguato. Attendo il mio turno. Non parlo, non fiato. Quando Sprati chiama il mio processo, in aula non è rimasto quasi nessuno. E' una mattina tranquilla, grazie al cielo. La luce irrompe dalle finestre. C'è il sole. Il Giudice verifica la regolare costituzione delle parti. Massimo si alza immediatamente per insistere nell'istanza di rinvio da me depositata. Sprati lo ascolta attentamente e poi dà la parola al PM.

"La richiesta del Sig. Squinzati non può essere accolta, Giudice", inizia subito con la sua vocetta stridula.

"Il Sig. Squinzati è oggi qui chiamato come imputato ed i suoi impegni in qualità di difensore vanno lasciati fuori da quest'aula. E' come se un medico – chiamato ad operare nello stesso giorno in cui si trova a subire un processo – chiedesse un rinvio. Non rileva ai fini del processo odierno. Chiedo quindi che non si dia luogo ad alcun rinvio e si apra subito il processo. Il Sig. Squinzati deve imparare a fare l'avvocato anche in questo".

Fremo. Tremo dalla rabbia. Massimo tace. Non replica nulla. Ad un certo punto si alza e – dopo un istante di silenzio ragionato che mi sembra durare un'ora – esclama:" Giudice, mi scusi, non capisco la linea adottata dalla Procura. Qui ci troviamo davanti ad un procedimento dove non esiste alcun problema di prescrizione. E' stato fatto tutto ad una velocità prodigiosa. L'Avv. Squinzati – che oggi indossa le vesti dell'imputato – questa mattina, tra un'ora precisa, dovrà difendere un imputato davanti al Giudice dell'Udienza Preliminare. Il decreto di fissazione dell'udienza ex art. 418 Cpp è anteriore di parecchio al decreto di citazione a giudizio a carico di Squinzati imputato che – oltretutto – non può farsi sostituire. Dobbiamo perdere altro tempo in discussioni inutili, o non basterà applicare la procedura evitando ogni vis personale che non dovrebbe albergare in quest'aula ?".

Preciso, senza fronzoli, il discorso di Massimo è serrato come una tagliola per donnole. Tardito salta su come una molla.

"Il Sig. Squinzati ha depositato un'istanza personalmente mentre avrebbe dovuto farlo lei avvocato ! Non mi parli di rispetto delle procedure quando i primi a non rispettarle siete voi !".

"Vedo che lei non ha ancora capito, Pm. E io glielo rispiego". Massimo ha scelto la linea dell'imperturbabilità.

"L'Avv. Squinzati ha depositato l'istanza e non il Sig. Squinzati. Se lei fosse stato un po' più attento avrebbe letto l'intestazione dell'istanza. La guardi bene, Dottor Tardito. Vede ?", e sbandiera la mia istanza nella mano destra, "C'è scritto Io sottoscritto Avv. Mario Squinzati, nella mia qualità di difensore di Jamel etc etc., chiedo etc. Qui il Sig. Squinzati, come si ostina a chiamarlo lei, non ha mai avanzato istanza alcuna. Non esiste. E lei, prima di pretendere il rispetto delle procedure da parte nostra, si legga meglio le istanze quando vengono depositate".

Tardito si è fatto prendere al laccio in una questione de minimis, dove anche il più sprovveduto dei PM avrebbe serbato una maggiore attenzione. Sprati corruga le sopracciglia, si legge l'istanza da me depositata da capo a fondo e poi detta un'ordinanza con cui assegna un rinvio di sei mesi. Mi sembra perfino arrabbiato, tanto da pronunciare un buongiorno liberatorio con cui si alza dalla sedia e se ne va. L'udienza è chiusa. Devo soltanto lasciare che la mia rabbia sbollisca per circa dieci minuti e poi andare a difendere Jamel. Non riesco ad evitare di impattare in Tardito mentre esce dall'aula.

"Dottor Tardito, scusi, può farmi un favore ? Impari lei a fare il PM. Io a fare l'avvocato ci provo tutti i giorni".

Strabuzza gli occhi. Non gli deve sembrare vero che un avvocato – oltretutto incriminato da lui – abbia l'ardire di dirgli cosa debba fare della sua vita professionale.

"Lei non si permetta di dirmi cosa debba fare io, ha capito !", esclama ai limiti dell'infarto. E' rosso come un gallo da combattimento. Sto per replicare – e questa volta a muso davvero duro – quando due braccia di acciaio mi afferrano e mi portano via. Prima che combini qualcosa di irreparabile. Mi ritrovo in strada, con Massimo alle calcagna e Stefano, l'impiegato autista della Procura, un gigante mio amico.

"Mario, non è che da quando ti ho riportato da Genova sulla Land Rover il giorno del tuo esame da procuratore legale, ti debba anche fare da balia !". Gli stringo forte un braccio, uno di quelli che mi si è chiuso addosso per portarmi via. Se penso che Stefano è l'autista di Tardito, mi scappa da ridere.

Mi canzona sempre dicendomi che il giorno in cui finii gli scritti da procuratore legale e lui mi riportò a casa, è stato il più bello della mia vita. Gli rispondo ogni volta che quello è stato il viaggio della speranza, in quel freddo che strizzava le ossa posate sui sedili fachireschi della sua jeep. Tant'è, in quelle due ore scarse nacque un'amicizia, tra un giovane aspirante avvocato ed un gigantesco autista di tribunali. Ogni tanto andiamo pure a funghi insieme.

Pensa a te.

 Inforco il mio motorino, saluto Massimo d'infilata che mi stava pure facendo la predica, e fuggo verso Jamel. Non lo so, ma quella mattina mi ritroverò Tardito anche alla difesa di Jamel. Incredibile. Ed ha avuto pure l'ardire di opporsi al mio rinvio quando sapeva benissimo che avrebbe dovuto partecipare ad un'udienza preliminare con me come difensore. Sfreccio (si fa per dire) in centro, a bordo del mio Ciao rutilante. Arrivo in Tribunale e trovo Agata ad aspettarmi in strada, dove ci sono i parcheggi dei motorini. Deve averla avvisata Massimo, dicendole che l'udienza è stata rinviata e come mi stessi infilando in un nuovo casino vanificando una linea processuale dignitosa. Saliamo al galoppo le scale per arrivare al terzo piano. Lei si tiene incollata al suo vecchio dominus in fuga per quanto glielo consentano i tacchi ed una gonna stretta come un tubo di ghisa. Eppure corre, questa ragazza, corre su per le scale come un fulmine. Tardito deve ancora arrivare. Mi immagino Sergio che guida con calma, dopo avermi salvato dalla mia rabbia. Di positivo c'è che adesso sono pronto a difendere il mio cliente con uno stato d'animo pacificato. Il fatto di avere detto cosa pensassi a Tardito mi ha sollevato. Ciò che più di tutto mi rende leggero è sapere di avere davanti a me ancora sei mesi di vita senza l'incubo del mio processo. Ogni volta è come se tornassi a vivere. Mi sento ringiovanito, più forte, più veloce. Jamel è seduto in corridoio, con le manette ai polsi. Chiedo alla polizia penitenziaria se si possano togliere.Conosco il capo scorta che non fa mai grandi problemi. In realtà potrebbe oppormeli, ma sono in cinque a presidiare uno spacciatore che pesa circa 50 kg, e dalla statura di un ragazzino acerbo. Il sorriso di Jamel riempie il corridoio appena mi vede. Gli scuciono dai polsi due schiavettoni nero picei che pesano più di lui. Mi avvicino e parliamo un po'. E' un ragazzo sempre allegro, nonostante il carcere continuo. Gli spiego che l'unica prova contro di lui è un'intercettazione ambientale. Sorride. Ha praticamente eliminato i telefonini. Ecco perché non ci sono più intercettazioni telefoniche. Mi domanda se ci siano pedinamenti. Qualcuno c'è ma sono tutti negativi. E' diventato più bravo del solito. Ho addosso un carico di adrenalina con cui potrei solcare l'oceano. E' il mio personale bastimento del dolore che si trasforma in energia positiva quando avverto il lavoro avvolgermi come un vestito addosso. Capita quando mi libero da un peso. Ora posso notare la differenza. Un conto è difendersi da un'imputazione che ci riguarda personalmente. Un altro – e molto diverso – è ciò che senti quando difendi un'altra persona ed il tuo cervello, l'anima che ci sta dentro e tutte le tue conoscenze tecniche si organizzano insieme come un sol pugno in vista dello scontro finale. E' una sensazione di vita, che scorre anche se non sai dove andrà. Le basta fluire con tutta la forza che ha. Tardito arriva e come per magia la porta del Gip si spalanca. E' il nostro turno. Ci scambiamo un'occhiata omicida prima di entrare. Salutiamo il Gip e ci sediamo, ciascuno ai nostri posti. Il Giudice è una donna. Tanto per cambiare. Preparata. Dotata di una certa riflessività che non le fa sbagliare strada quando il difensore è così bravo da spianargliela come si deve. L'ho sempre pensato.Se un avvocato conosce a menadito la procedura penale, ha la possibilità di far avanzare con giudizio il suo giudice naturale. E' la forza prodigiosa dei meccanismi che si trovano collocati dentro i codici. Dobbiamo soltanto usarli. E conoscerli, of course. Ho scelto di fare un abbreviato con Jamel. Le prove sono tutte manchevoli. Ho scovato un filone giurisprudenziale che mi dà ragione, da utilizzare questa mattina. Tardito parla per primo. Vedo che è ancora annebbiato dalla rabbia legata al mio processo. Si mangia qualche parola ma poi il suo discorso acquista forza ed incisività. Anche se ho finito per odiarlo, non posso negare che resti un avversario insidioso. E' intelligente e studia. Devo stare piu' attento e cercare di batterlo nella dottrina, non nelle incazzature.

"Vede Giudice, l'imputato – chiedendo il rito abbreviato – ha accettato tutte le prove inserite nel fascicolo del Pubblico Ministero. E mi riferisco all'intercettazione ambientale captata all'interno della sua automobile nonché nelle fasi successive. Abbiamo registrazioni ambientali anche in casa, e nel negozio del suo amico e concorrente che invece – forse più oculatamente – ha scelto il rito ordinario. Non è possibile discutere in questo processo più di tanto a fronte di una cristallizzazione probatoria così stringente e che l'imputato – lo ripeto – aveva la possibilità di non accettare andando in dibattimento per saggiarne la resistenza. Possiamo soltanto parlare di pena. Che non sarà altissima visto il quantitativo che gli è stato rinvenuto addosso ma comunque sempre tale da inserirsi nel primo comma dell'art.73 Dpr 309/90. Chiedo pertanto la condanna ad anni sei e 18.000,00 euro di multa senza riconoscimento delle attenuanti generiche". Termina la sua requisitoria che – non posso dire nulla – dal suo punto di vista non fa una piega.

"La difesa".

"Vede Giudice, le parole del PM vanno bene in linea astratta. Quando si sceglie un rito contratto come quello abbreviato si opta sempre per una accettazione del materiale probatorio che ci si ritrova nel fascicolo del PM. E' un'affermazione più che corretta. C'è però un particolare in questo processo. Ossia, cosa c'è in questo fascicolo ? Una serie di intercettazioni ambientali la cui natura è da valutare. La difesa le accetta ma una loro eventuale nullità resta rilevabile d'ufficio. Mi spiego meglio. Il Pubblico Ministero ha richiesto – ed il Gip glielo ha concesso – una serie di intercettazioni ambientali individuate nello spazio, ossia la casa del mio cliente. E basta. Non intercettazioni in auto o nel negozio del concorrente nel reato. Per queste era necessaria una richiesta a parte mai avanzata. Le uniche intercettazioni ambientali regolari, utilizzabili, si riducono a quelle effettuate all'interno dell'abitazione del mio cliente, per le quali esiste una precisa richiesta ex art. 266 Cpp e segg. ed un decreto del Gip che le autorizza. Tutte le altre – derivanti da una concezione dinamica dell'intercettazione ambientale che non ha ragione di essere se non è specificamente individuata ed autorizzata – potranno essere cestinate. Per questi motivi, poiché non c'è altro, e poiché le intercettazioni ambientali in casa nulla dicono se non rivelare la vita sessuale del mio cliente e le sue abitudini quotidiane, le chiedo di assolverlo dopo avere dichiarato la inutilizzabilità di tutte le altre risultanze illegittimamente acquisite a questo fascicolo fondato sul nulla".

Jamel ha strabuzzato gli occhi. Il Gip si ritira in camera di consiglio e noi usciamo nel corridoio. Inizia l'attesa. Vado a prendermi un caffè con Agata alla quale chiedo se siamo andati bene. I suoi occhi nuotano nella luce. Mi dice che sono stato incisivo e determinato e che la mia rabbia non si avvertiva in ciò che ho detto. Chè questa tesi è affascinante e di non averci mai pensato prima.

Mi chiede come mi senta.

"Bene. Un po' acciaccato ma sono contento per il rinvio e per la figura che fatto Tardito. Se poi questa mattina dovesse anche prendersi un'assoluzione nei denti, potrei anche andare a festeggiare".

"Con chi ? ", mi fulmina Agata.

Resto un momento in surplace. Non so cosa risponderle. Vorrei dirle – Dio quanto lo vorrei - che mi piacerebbe andare con lei a cena fuori ma non so se sia la cosa giusta. Se possa farlo, se non sia il più grande errore della mia vita. Oppure la svolta che porterebbe un miracolo all'interno di un'esistenza in affanno.

Sto per rispondere,ma ci chiamano. Il Gip ha concluso la camera di consiglio.

Signori, ecco a voi la sentenza della mattinata.

 

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