Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
È in atto, nel silenzio assordante della politica ufficiale, una pericolosa restaurazione. Un onda di scandali e inchieste giudiziarie sta in questi giorni mettendo sottosopra la Regione Siciliana, ma, passando per la Calabria, ad essere investito è tutto il Paese e amministrazioni locali e regionali di varia estrazione politica. Tornano a emergere con forza fenomeni che sembravano, se non superati, quantomeno contrastati da un ordinamento impegnato – almeno formalmente – nel consolidare una cultura della legalità istituzionale: intrecci opachi tra potere pubblico e interessi privati, pratiche clientelari strutturate, logiche consociative che mortificano il merito e la trasparenza.
Tutto ciò accade, non a caso, in un quadro normativo che ha progressivamente indebolito gli strumenti di prevenzione e repressione dei fenomeni corruttivi. La sequenza è precisa e allarmante.
Basti pensare, intanto, alla sostanziale abrogazione della legge n. 3/2019 (la cosiddetta "Spazzacorrotti"), con l'eliminazione dell'obbligo di trasparenza per le formazioni politiche e delle interdizioni accessorie automatiche per i condannati per reati contro la pubblica amministrazione. Ed ancora, alla recente depenalizzazione dell'abuso d'ufficio, che ha rimosso una norma cardine per la tutela del buon andamento e dell'imparzialità amministrativa, lasciando un vuoto che rischia di rendere del tutto ineffettiva l'azione penale contro molte condotte illecite; alla significativa limitazione dei poteri della Corte dei Conti in sede di controllo e di responsabilità erariale, soprattutto attraverso l'eliminazione della possibilità di intervenire con tempestività sulle criticità gestionali della pubblica amministrazione; e risalendo ad anni passati, all'eliminazione dei controlli sugli enti locali.
Questo arretramento normativo non è neutro: si traduce in un indebolimento sostanziale del presidio democratico. A ciò si aggiunga un clima culturale in cui la legalità viene ridotta a zavorra burocratica, e chi osa porre questioni di metodo e regolarità viene isolato, accusato di frenare lo "sviluppo" e il volere della politica in quanto legittimata dal voto degli elettori. Ma sviluppo non è sinonimo di deregolazione, perchè senza un sistema di regole chiaro, effettivo, presidiato da istituzioni indipendenti e competenti, ogni progettualità è destinata a degenerare in rendita, in favore di pochi e a danno di molti; e gli eletti, come ogni cittadino, incontrano un limite nel rispetto della legge.
Serve quindi una reazione che sia insieme culturale e giuridica. Serve recuperare il senso profondo dell'interesse pubblico, rimettere al centro i principi costituzionali di imparzialità, trasparenza, responsabilità. Serve ripensare l'architettura degli strumenti di contrasto alla corruzione, restituendo forza e dignità a controlli, sanzioni, garanzie.
Non si tratta di invocare una nuova stagione di giustizialismo, ma di riconoscere che senza legalità sostanziale non c'è democrazia reale. E che in assenza di anticorpi normativi efficaci, il corpo delle istituzioni rischia di infettarsi in profondità, fino a rendere irreversibile una regressione del Paese, già ai primi posti nelle classifiche internazionali che misurano il grado di corruzione.
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.