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Insegnanti e violenze sui minori: sono solo cattive maestre?

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È successo di nuovo. La polizia ha notificato una misura interdittiva consistente nella sospensione per un anno dall'esercizio del pubblico ufficio a una maestra di scuola dell'infanzia della provincia di Siracusa. La donna è indagata con l'ipotesi di maltrattamenti ai danni di minori. Le indagini erano iniziate dopo la denuncia dei genitori di due bambini di 4 e 5 anni. La polizia ha scoperto i maltrattamenti grazie alle intercettazioni ambientali e a una telecamera. Dal profondo Sud al profondo Nord dove sono ben 42, invece, gli episodi violenti che i carabinieri hanno documentato in un mese di indagine. Schiaffi, spinte e in un caso perfino un braccio rotto. Un maestro di scuola dell'infanzia di 64 anni è stato messo agli arresti domiciliari con l'accusa di aver maltrattato bambini tra i 2 e i 5 anni di una scuola materna di Pero (Milano). Anche in questo caso è stato determinante l'ausilio delle telecamere nascoste, che hanno consentito di documentare chiaramente gli atteggiamenti dell'insegnante: i bambini venivano scaraventati a terra, sgridati violentemente e tirati per le orecchie. Alcune immagini ritraggono il maestro intento a tirarli giù dai loro lettini prendendoli di peso, mentre in un altro frame si vedono chiaramente i bimbi seduti a terra in cerchio e l'uomo dare calci alla testa a uno dei piccoli. Al tutto si aggiungono le urla ripetute dell'uomo: "Hai finito?", "Il tuo papà te lo do io". Nel caso più grave a un bambino è stato rotto un braccio. Il piccolo, di tre anni e mezzo, è tornato a casa a luglio lamentando forti dolori: è stata proprio sua madre, con una querela a far avviare le indagini dei carabinieri di Rho. I militari poi hanno sentito altri genitori della stessa classe, è emerso che i loro figli si isolavano a casa una volta tornati da scuola, erano diventati più introversi a causa degli atteggiamenti del maestro. Al provvedimento giudiziario seguiranno quelli amministrativi, quindi il maestro sarà sospeso dalla sua attività.

Fatti gravi che, ove confermati, vanno adeguatamente puniti. Questo spetta alla giustizia. Ma occorre anche prevenire, con risposte adeguate ed efficaci affinché singoli episodi assolutamente spregevoli e deprecabili non abbiano mai più a ripetersi. Senza dubbio è necessario un adeguato controllo sulla gestione e sul personale delle strutture educative, controllo che non può essere affidato unicamente all'occhio sterile e freddo di una telecamera; tale sistema, infatti, è dimostrato non serva in alcun modo alla prevenzione delle violenze, consentendo l'intervento sempre e comunque a danno già compiuto. Gli episodi di violenza esistono e il problema va risolto, perché tocca l'incolumità di esseri innocenti e indifesi, provoca sconforto, proprio per il tradimento del patto di fiducia su cui si fonda il rapporto tra genitore e insegnante.
Tuttavia– a parte alcuni fenomeni che raccontano di una palese devianza criminale – molti casi di comportamenti censurabili da parte di insegnanti sono da addebitare a un sistema che li lascia sostanzialmente soli, ad affrontare un compito gravoso, con una delicatezza estrema di rapporti e relazioni, di grande responsabilità e avvertito come ben poco considerato a livello sociale, politico e istituzionale. Una "solitudine" che si manifesta anche con l'assenza pressoché totale di meccanismi di valutazione. Non si tratta di sottoporre a giudizi, ma di valutare lo stato di lavoro dell'insegnante, proprio per riuscire a fornire un supporto adeguato anche in casi di disagio personale, prima che si riversino su bambini e adolescenti. Da più parti viene chiesto al Miur che quella degli insegnanti venga riconosciuta come una professione emotivamente usurante, sottoponendo i docenti periodicamente ad una visita psicologica per certificare la sussistenza dei requisiti necessari per lavorare a stretto contatto con i bambini. Per il momento – però – pare restare un argomento tabù. Il sistema italiano dell'istruzione, giudicato eccellente sotto altri parametri, pare essere allergico, se non renitente, alla valutazione in generale. 

 Il protocollo sullo stress correlato al lavoro consentirebbe di stimolare la consapevolezza degli insegnanti, aiutandoli a comprendere le cause dello stress e il modo in cui affrontarlo: un percorso che vuol dire tanto prevenire quanto affrontare situazioni critiche, anche con un sostegno psicologico. Il governo in carica, intanto, punta molto sull'efficacia delle telecamere di sorveglianza installate negli istituti, lasciando solamente in sottofondo la formazione, la selezione ed i controlli sui requisiti degli operatori della scuola. Ad una logica della sorveglianza e del controllo basata sul pregiudizio, è indispensabile sostituire la pratica della progettazione pedagogica, che chiama in causa tutti i protagonisti dell'agire educativo. Ricorrere alla videosorveglianza equivale ad ammettere la totale disfatta delle politiche socio-educative, significa spezzare definitivamente quel patto educativo tra scuola e famiglia che dovrebbe costituire il cardine su cui si fonda il senso della "Comunità che Educa", e che dovrebbe essere incentrato sulla piena e reciproca fiducia tra insegnanti, personale educativo e genitori. La miglior garanzia per la salvaguardia dell'incolumità degli alunni resta sempre la tutela della salute degli insegnanti e non certo l'installazione di nuove tecnologie da "Grande fratello" o l'introduzione di improbabili test psicoattitudinali. Probabilmente andrebbe considerata la variabile rappresentata dall'anzianità di servizio: a quanto pare, infatti, nessuno sembra chiedersi per quale ragione le maestre inquisite comincerebbero a "terrorizzare" i bimbi dopo i 50 anni. E allora non è un problema di "indole malvagia", ma eventualmente di un probabile esaurimento da "Stress da Lavoro Correlato", proprio quello che nessuno ha ancora contrastato o prevenuto nonostante lo imponga la legge (art. 28 DLgs 81/08).

Maria Di Benedetto, insegnante e vicaria all'istituto comprensivo Portella della Ginestra di Vittoria

 

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