Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
La prima cosa che la dottoressa Daniela Fioravanti vide entrando in sala operatoria fu il modulo di Richiesta Sangue, che giaceva dimenticato nel cestello raccoglitore con la documentazione medica relativa a Barbara Santilli.
Era un fatto molto strano. Ferrini le aveva assicurato di averlo spedito al centro trasfusionale il giorno precedente, quindi la Fioravanti non riuscì a spiegarsi la presenza nel raccoglitore di quel foglio, all'apparenza insignificante, in realtà molto importante.
Da oltre quattordici anni lavorava come anestesista e rianimatrice presso varie cliniche e ospedali della capitale e non solo conosceva il dottor Ferrini da quasi cinque anni, ma lo considerava un medico attento e scrupoloso.
Decise subito di chiedere chiarimenti al diretto interessato, che in quel momento stava ultimando i preparativi per dare inizio all'intervento di taglio cesareo.
"Davide, l'hai inviata tu la richiesta di sangue per la paziente?"
"Certamente", rispose il giovane ginecologo senza nemmeno voltarsi, "l'ho lasciato detto alla caposala. Questo è un intervento delicato, a forte rischio di emorragia, quindi ho pensato fosse meglio avere almeno un paio di sacche a disposizione". "
"Penso che ci sia stato un disguido", replicò la Fioravanti a disagio.
"Cosa intendi scusa?", chiese lui voltandosi stupito verso l'anestesista.
"La richiesta è rimasta nel raccoglitore", disse la donna indicando con un cenno del capo il piccolo contenitore di plastica rossa poggiato sulla mensola vicino alla porta d'ingresso della sala operatoria, "credo che qualcuno si sia dimenticato di portarlo materialmente al centro trasfusionale".
"Porca miseria!", esclamò indispettito il ginecologo.
A quell'affermazione, inusuale rispetto al lessico in genere utilizzato da Ferrini, tutti i presenti in sala operatoria si bloccarono per qualche istante, guardando con aria interrogativa il giovane medico.
Fu Renata Valori, la ginecologa e chirurga che quel giorno – nonostante la maggiore anzianità di servizio – avrebbe svolto le funzioni subordinate di "aiuto operatore", a rompere il silenzio imbarazzato che si era creato: "Cosa facciamo adesso?", domandò esternando quello che era l'interrogativo principale di tutti i presenti.
Ferrini rivolse lo sguardo dapprima verso la Fioravanti e successivamente verso la Valori, senza però profferire parola.
"Allora?", domandò nuovamente la Valori, che era nota tra i colleghi per la sua riluttanza a prendere iniziative che potessero poi ritorcersi contro di lei.
"Tu che dici, Daniela?", chiese Ferrini leggermente preoccupato.
"Cosa vuoi che ti dica?", rispose l'anestesista senza nascondere la sua perplessità. "L'intervento è a forte rischio di emorragia, però è anche vero che il centro trasfusionale è al piano di sopra e non a venti chilometri da qui. Quindi io direi che potremmo cominciare ugualmente l'intervento anche senza avere il sangue in sala operatoria, tanto più che così eviteremmo il rischio d'interrompere la catena del freddo e di renderlo poi inservibile. Se successivamente, nel corso dell'operazione, dovesse rendersi necessaria una trasfusione, potremmo sempre farcelo mandare d'urgenza entro qualche minuto".
La dottoressa Valori rimase in silenzio, senza dire nulla. Non aveva nessuna voglia di assumersi quella responsabilità. Senza contare che, anzianità o meno, non era lei quel giorno a dirigere le operazioni, bensì il suo giovane ex allievo.
Quest'ultimo rimase per qualche secondo a riflettere, poi prese la sua decisione.
"D'accordo, cominciamo", disse con un mezzo sospiro da dietro la mascherina sterile, "e cerchiamo di fare le cose in fretta e per bene. Voglio che tutto vada alla perfezione".
Gli altri membri dell'equipe chirurgica fecero un cenno d'assenso.
La paziente era già stata parzialmente sedata, anche se la Fioravanti aveva preferito non ricorrere a un'anestesia generale, ritenuta troppo pesante e sostanzialmente inutile, bensì a una peridurale, cioè a una sedazione limitata alla specifica parte da trattare.
La donna quindi era cosciente di quanto le stava accadendo intorno, anche se era riuscita ad afferrare ben poco di quello che i medici avevano appena detto.
"Barbara, sei pronta?", chiese Ferrini, che ormai da tempo – precisamente dalla nascita del piccolo Federico – aveva abbandonato il lei per passare a un più confidenziale tu.
"Prontissima", rispose lei con la voce appena velata dall'anestesia.
"Allora facciamo nascere questo bambino", esclamò il ginecologo impugnando il bisturi che la ferrista di sala gli stava porgendo. "Daniela, annota in cartella lo start: sono le ore 11 e 30 minuti".
La Fioravanti annuì e segnò sulla cartella clinica della paziente l'orario d'inizio dell'intervento.
Barbara aveva naturalmente una visuale molto limitata del tavolo operatorio. L'intera zona del ventre, laddove il chirurgo avrebbe dovuto incidere per procedere al parto cesareo, era coperto alla sua vista da una serie di teli verdi, che formavano una specie di tenda intorno alla parte da trattare.
Di conseguenza non vide la lama, affilata e lucente, che le incideva dapprima la pelle, per poi tagliare i piani muscolari sottostanti e arrivare infine all'utero, dove il suo piccolo Andrea attendeva di essere raggiunto.
"Come sta andando, Davide?", chiese la donna quando percepì che l'intervento era cominciato.
"Alla perfezione", fu l'immediata risposta del ginecologo.
In quel momento, in realtà, Ferrini non era troppo soddisfatto di come le cose stessero procedendo. Infatti l'incisione aveva provocato un copioso sanguinamento, troppo copioso forse, eventualità non proprio frequente, che tuttavia si verificava in più d'un caso, soprattutto nella situazione specifica di quella paziente in cui le pareti dell'utero erano fortemente vascolarizzate e adese ai tessuti circostanti.
La dottoressa Valori fece una smorfia di disappunto e scostò con la mano guantata un lembo di tessuto, per vedere meglio come si presentava il campo operatorio.
Quello che vide non le piacque affatto, così come non piacque per niente nemmeno al suo giovane ex allievo.
Raramente era loro capitato di vedere una situazione simile: l'utero era cosparso di varici, c'erano numerosissime aderenze ed entrambi realizzarono subito che, comunque avessero inciso, si sarebbe determinata un'emorragia.
Ormai però era troppo tardi per tornare indietro. Il feto doveva essere estratto e anche alla svelta.
Decisero di procedere con una rischiosa incisione longitudinale dell'utero, che in genere non veniva mai praticata, se non nei rari casi in cui l'operatore avesse ritenuto assolutamente impossibile agire in altro modo.
Ferrini cominciava a essere abbastanza preoccupato: quel parto si stava rivelando molto più complicato del previsto.
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.