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Il “Coronavirus” isolato allo Spallanzani di Roma Una doppio motivo di orgoglio nazionale

rizzo

Quante volte abbiamo sentito parlare di "eccellenze italiane".

Quante volte abbiamo protestato, in cuor nostro, o ci siamo lamentati attraverso i "social" per le giovani generazioni, preparati, rigorosi, intelligenti che abbandonano il Paese, non per scelta, ma per necessità.

Quante volte abbiamo alzato la nostra voce fino a sgolarci davanti ai soprusi di studiosi qualificati che nelle nostre Università sono stati costretti a cedere il passo al rampollo di turno di qualche "barone" al quale il sistema ha sempre permesso tutto. Ma proprio tutto!

Quindi riteniamo giustificato l'entusiasmo di quanti hanno esultato alla notizia che all'Istituto Spallanzani per le malattie infettive era stato isolato il "Coronavirus", che sta falcidiando vittime in Cina, dove si è sviluppato, e in parecchi altri paesi occidentali.

Sarà messo a disposizione di tutta la comunità internazionale, dopo averlo isolato.

La notizia è stata data dal Ministro della sanità Roberto Speranza, durante una conferenza stampa lo scorso 2 febbraio all'Istituto Spallanzani di Roma.

Il ministro ha sottolineato: "La scoperta permette di sequenziare il virus e confrontarlo con i ceppi già isolati anche in Cina e al di fuori della Cina in Paesi come Francia e Australia per valutare eventuali mutazioni. Esprimiamo grande soddisfazione. E' in questi momenti che si capisce quanto conta avere un Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) di qualità". Così il ministro della Salute Roberto Speranza a margine della conferenza stampa ha dichiarato: "Il Servizio sanitario nazionale italiano - ha aggiunto - è uno dei migliori del mondo e dobbiamo difenderlo con tutte le energie che abbiamo. Siamo qui per ringraziare medici infermieri e professionisti e tutti coloro che lavorano per reggerlo - ha concluso Speranza - e mettiamo questa nostra conoscenza a disposizione di tutta la comunità scientifica del mondo. Questo testimonia la qualità del nostro Ssn, è una pietra preziosa". 

Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Spallanzani: "Si aprono spazi per cure. Ora i dati saranno a disposizione della comunità internazionale. Si aprono spazi per nuovi test di diagnosi e vaccini. l'Italia diventa interlocutore di riferimento per questa ricerca". E ha aggiunto: "E' un passo fondamentale che permetterà di perfezionare i metodi diagnostici esistenti ed allestirne di nuovi. La disponibilità nei laboratori del nuovo agente patogeno, inoltre, permetterà di studiare il meccanismo della malattia per lo sviluppo di cure e la messa a punto del vaccino".

Questo ci sembra un primo motivo di orgoglio nazionale. E non possiamo non augurarci che i gruppi protestatari contro i vaccini a "prescindere", direbbe il grande Totò, abbiano occasione di riflettere sulle loro scelte che tante tensioni hanno creato negli ultimi mesi.

Ma chi sono i nostri eroi che hanno lavorato, con grandissima professionalità, lottando contro il tempo, con attrezzature modeste, molto modeste a fronte degli investimenti che i nostri governi, di oggi, dell'altro ieri e di ieri hanno dedicato alla Sanità.

La dottoressa Maria Rosaria Capobianchi, 67enne nata a Procida, laureata in scienze biologiche e specializzata in microbiologia. "Dal 2000 lavora allo Spallanzani come responsabile del laboratorio di Virologia e ha dato un contributo fondamentale nell'allestimento e coordinamento della risposta di laboratorio alle emergenze infettivologiche in ambito nazionale, nel contesto del riconoscimento dell'istituto quale centro di riferimento nazionale".

Francesca Colavita, "…giovane ricercatrice che da 4 anni lavora nel laboratorio dopo diverse missioni in Sierra Leone per fronteggiare l'emergenza Ebola".

Concetta Castilletti, classe1963, responsabile della Unità dei virus emergenti nota come "mani d'oro".

Fabrizio Carletti, esperto nel disegno dei nuovi test molecolari, e Antonino Di Caro che si occupa dei collegamenti sanitari internazionali completano il team.

Questo è un secondo motivo di orgoglio nazionale. 

Silvia Ronchey, in un interessante articolo, "Il virus che risveglia il mito" del 26 gennaio scorso sulle pagine de "la Repubblica", analizza le paure, i risvolti politici, economici, sociali che investono le società, anche quelle dei secoli scorsi, ogni qualvolta la nostra sicurezza vene messa in discussione da eventi apocalittici, "da fine del mondo".

E si chiede: "…Lo spiegamento di forze, l'allestimento del cordone sanitario più colossale a memoria d'uomo, il moto perpetuo delle ruspe al lavoro per nuovi nosocomi, la disciplinata efficienza del sistema sì spiegano, commentano gli occidentali, con la forza (e con la propaganda) di un regime totalitario. È vero, ma è altrettanto vero che l'ultimo totalitarismo del Novecento, quello sovietico, fu sconfitto proprio dalla catastrofe di Chernobyl. Sarà in grado la Cina di domare una catastrofe di cui ancora nessuno conosce l'entità? Se non lo sarà, il mondo verrà contagiato da un'ancora più grande e motivata angoscia di fine. Ma se lo sarà, se ce la farà, un'altra paura contagerà forse l'occidente: che per la prima volta stavolta sì nella storia il barbaro dagli occhi a mandorla affermi globalmente la sua supremazia".

A noi ha richiamato alla mente uno straordinario libro di Carlo M. Cipolla, "Contro un nemico invisibile", edizione Il Mulino, Bologna1985. Ripubblicato nel 2007

Un libro che ci parla delle numerose pestilenze, dalla nascita dell'organizzazioni sanitarie a partire dal 1500, delle paure e degli smottamenti sociali, politici, economici.

Ieri come oggi. 

 

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