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Giovanni Gentile, il monito agli insegnanti: "Farsi maestro, non essere maestro"

Giovanni Gentile, il monito agli insegnanti: "Farsi maestro, non essere maestro"

Giovanni Gentile (Castelvetrano, 29 maggio 1875Firenze, 15 aprile 1944) è stato un filosofo, pedagogista, politico e accademico italiano. Fu insieme a Benedetto Croce uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico e dell'idealismo italiano, un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo, cofondatore dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, e artefice, nel 1923, della riforma della pubblica istruzione nota come Riforma Gentile. La sua filosofia è detta attualismo.

Inoltre fu figura di spicco del fascismo italiano. In seguito alla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana, fu assassinato durante la seconda guerra mondiale da alcuni partigiani comunisti dei GAP

La filosofia di Gentile fu da lui denominata attualismo o idealismo attuale, poiché in esso l'unica vera realtà è l'atto puro del «pensiero che pensa», cioè l'autocoscienza, in cui si manifesta lo spirito che comprende tutto l'esistente; in altre parole, solo quello che si realizza tramite il pensiero rappresenta la realtà in cui il filosofo si riconosce.

Il Pensiero è attività perenne in cui all'origine non c'è distinzione tra soggetto e oggetto. Gentile avversa pertanto ogni dualismo e naturalismo rivendicando l'unità di natura e spirito (monismo), cioè di spirito e materia, all'interno della coscienza pensante, assieme al primato gnoseologico ed ontologico di questa. La coscienza è vista come sintesi di soggetto e oggetto, sintesi di un atto in cui il primo (il soggetto) pone il secondo (autoconcetto). Non hanno quindi senso orientamenti solo spiritualisti o solo materialisti, come non ne ha la divisione netta tra spirito e materia del platonismo, in quanto la realtà è Una: qui è evidente l'influsso del panteismo rinascimentale e dell'immanentismo, più che dell'hegelismo.

Di Hegel, a differenza di Benedetto Croce (fautore dello storicismo assoluto o idealismo storicista per cui tutta la realtà è storia e non atto, in senso aristotelico) Gentile non apprezza tanto l'orizzonte storicista quanto l'impianto idealistico relativo alla coscienza, ovvero la posizione della coscienza come fondamento del reale. Anche secondo Gentile vi è un errore, in Hegel, nella valutazione della dialettica, ma in modo diverso da Croce: Hegel avrebbe infatti confuso la dialettica del pensare (che ha individuato correttamente) lasciandovi forti residui della dialettica del pensato, ovvero quella del pensiero determinato e delle scienze.[

L'attualismo di Gentile si esprime in questa riforma della dialettica idealista, con l'aggiunta della teoria dell'atto puro e l'esplicazione del rapporto tra logica del pensare e logica del pensato.

Recuperando Fichte, il filosofo afferma che lo spirito è fondante in quanto unità di coscienza ed autocoscienza, pensiero in atto; l'atto del pensiero pensante, o «atto puro», è il principio e la forma della realtà diveniente. Secondo Gentile la dialettica dell'atto puro si attua nell'opposizione tra la soggettività rappresentata dall'arte (tesi) e l'oggettività rappresentata dalla religione (antitesi) cui fa da soluzione la filosofia (sintesi).

L'atto puro si fonda sull'opposizione della «logica del pensiero pensante» e la «logica del pensiero pensato»; la prima è una logica filosofica e dialettica, la seconda una logica formale ed erronea.

Gentile dedica la sua attenzione al tema della soggettività dell'arte e il suo rapporto con religione e filosofia, ovvero l'intera vita dello spirito; se da un lato l'arte è il prodotto di un sentimento soggettivo, dall'altro essa è un atto sintetico che coglie tutti i momenti della vita dello spirito, acquistando dunque alcuni caratteri del discorso razionale.

Sviluppando fino in fondo l'hegelismo di Bertrando Spaventa, l'attualismo gentiliano, per il quale ogni realtà esiste solo nell'atto che la pensa, è stato interpretato come un idealismo soggettivo (una forma di soggettivismo), sebbene il suo autore tendesse a respingere tale definizione, on essendo quell'atto preceduto né dal soggetto né tantomeno dall'oggetto, bensì coincidente con l'Idea stessa, e a differenza di Fichte, immanente all'esperienza proprio perché creatore dell'esperienza.

 Necessità di entrare nell'anima dell'educando .
Per intendere la vera indole, i bisogni, la vita del suo scolaro, il maestro non deve fermarsi alla astratta idea che egli sia, poniamo, uno scolaro di una certa classe, in cui si suppone l‟attitudine a seguire uno svolgimento d‟un certo programma: questo è uno scolaro astratto, che non ha vita, e non può seguire nessun programma; è una cosa, creata dal pensiero inconsapevole della propria natura; non è una persona. Né basta che lo guardi in faccia, in cui pur lampeggia in una luce ad ogni istante nuova l‟interno del fanciullo; ma deve entrare a studiarlo pacatamente nel suo animo, dove si raccoglie e concentra la vita di quel fanciullo. E per entrare bisogna che lo segua nel suo processo spirituale, perché quell'animo non è appunto se non un processo. Seguirlo, tenergli dietro, senza stancarsi, senza dir mai: – Ho capito, ormai, te ti conosco – Che sarebbe certo un sacrifizio troppo grave pel maestro: ridursi spia fida, continua, instancabile di ogni individualità commessa alla sua opera educativa, rinunziando del tutto a ogni slancio spontaneo e indipendente del suo proprio essere. Ma cessa il sacrifizio e la rinuncia, se si considera che questo entrare dell‟educatore nel processo spirituale dell‟educando non è punto un uscire da se medesimo, non è come un distaccarsi da sé, per aderire a un processo estraneo, ma è né più né meno che realizzare il proprio processo. Realizzarlo, s‟intende sempre, nella determinatezza della propria soggettività.Farsi, non essere maestro.
E qui è la chiave così della vita dell‟educatore, come dell‟intelligenza di essa. Se tutto è spirito, tutto      è spirito in quanto si fa spirito. Educatore ed educando sono spiriti, ma in quanto si fanno, nel loro farsi. Rispetto a un momento ulteriore ogni farsi è qualche cosa di fatto, non è unità ancora, ma dualità; e ingenerale, molteplicità. Maestro e scolaro, nel loro primo incontrarsi, possono, di certo, dissentire e sentire ciascuno l‟altro fuori di sé, repellente, chiuso, impenetrabile: non quale spirito, che, come sappiamo, è assoluta permeabilità e trasparenza intima, ma quale materia: una cosa e magari un coso. 
Ma ancora non sono veri maestro e scolaro, devono farsi; e il loro essere, nella loro correlazione 
educativa, è farsi.

 Processo indefinito della formazione del maestro.                  
Ho detto che ancora non sono veri maestro e scolaro. Ma il vero maestro, si badi, non è un termine fisso; né il vero scolaro. Non è possibile additare un punto, oltre il quale si abbia il vero maestro o il vero scolaro. Il maestro vien diventando sempre più vero maestro; e così lo scolaro. Empiricamente, si può dire che il primo incontro sia già l‟inizio dell‟educazione. Perché, sebbene allora lo scolaro non abbia se non una prima incerta e vaga immagine o conoscenza dell‟aspetto esteriore di chi poi gli verrà aprendo sempre di più l‟anima sua, quell‟aspetto già conosciuto è esteriore in paragone di ciò che ne conoscerà più tardi con la consuetudine della scuola, ma è già il principio di quello stesso processo spirituale, in cui si verrà attuando tutto il suo profitto. 
Ma c‟è veramente un primo incontro dello scolaro col maestro? Ciò apparirà meglio appresso, quando approfondiremo il concetto dell‟educatore. Qui ci basti conchiudere, che un atto educativo non èMa c‟è veramente un primo incontro dello scolaro col maestro? Ciò apparirà meglio appresso, quando approfondiremo il concetto dell‟educatore. Qui ci basti conchiudere, che un atto educativo non è concepibile se non ad un patto: che cioè attraverso di esso si realizzi l‟unità degli spiriti che vi concorrono; e che perciò vero maestro è solo colui che si sente solo nella sua scuola, risolvendo nella 
propria l‟individualità degli scolari».

 

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