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Una lettera bellissima quella di Chiara, 22 anni, universitaria siciliana. Una di quelle lettere che tutti dovrebbero leggere. Eccola:
Mi chiamo Chiara, ho 22 anni, studio all'università di Bologna. Ma potrei chiamarmi Alessia, Daniele, Sara o Giovanni. Potrei essere uno qualunque dei tanti giovani che vivono in provincia di Ragusa e che ogni settimana devono scegliere se restare, partire, oppure resistere.
Resistere a tutto.
Scrivo oggi, in un giorno importante per il nostro territorio, in cui davanti all'aeroporto di Comiso si terrà un consiglio comunale aperto. Ci saranno, immagino, sindaci, parlamentari, associazioni di categoria. Si parlerà – ancora una volta – di quel sogno chiamato aeroporto Pio La Torre, che avrebbe dovuto e potuto cambiare il destino di questa, e che invece, a conti fatti, è stato l'ennesima occasione tradita.
Ora scrivo io. Perchè sento di farlo. Perché da troppo tempo la nostra voce non viene ascoltata, e ora basta: se non la alziamo noi, con parole semplici ma almeno chiare, forse non lo farà nessuno.
Noi, ragazze e ragazzi che studiamo fuori, viviamo una migrazione silenziosa e costosa, fatta di ore e ore di viaggio, di coincidenze improbabili, di treni in ritardo, di autobus che non passano, di voli carissimi quando si trovano, di tanti sogni che si sgretolano nei finestrini. Ogni volta che devo tornare a Bologna o da lì a casa, per le lezioni o gli esami, spendo più di 200 euro, e poi devo farmi un sacco di ore di viaggio per attraversare la Sicilia, perchè non ci sono treni. Non c'è nulla.
Ma non siamo solo noi studenti.
C'è una mia zia che lavora part-time per meno di 700 euro, costretta ad andare a Milano in un ospedale per curarsi, e ogni volta che ha bisogno di un controllo, a spendere una cifra enorme, soprattutto se glielo dicono all'ultimo. Non sono viaggi di piacere ma della speranza, che però partono con biglietti aerei che costano quasi come quelli per New York, e con tratte che spariscono nel nulla se non rendono abbastanza.
Forse non lo vedete, forse neppure lo capite. Ma credetemi. È così che si abbandonano i cittadini. È così che si alimentano le diseguaglianze.
E poi ci sono le imprese, i piccoli imprenditori, i commercianti che avevano creduto nell'aeroporto di Comiso come opportunità, come volano, come apertura verso il mondo. E che oggi vedono i loro prodotti fermarsi in magazzino, mentre le merci del Nord viaggiano a tutta velocità. Qui non esiste alta velocità, non c'è una vera autostrada, la Ragusa-Catania è un dedalo dove si rischia ogni giorno la vita, la ferrovia è ferma a due secoli fa. E l'aeroporto, l'unica vera speranza di uscita e di accesso, è stato affossato.
Affossato da chi?
Dalla scelta, forse, di affidare entrambi gli aeroporti – Catania e Comiso – a una sola società, che ha fatto del secondo una semplice dependance del primo. Un aeroporto di scorta, da usare quando serve, e perfino quando l'Etna erutta mi dovreste spiegare perchè si atterra a Palermo e Trapani e non qui, perchè non si capisce proprio.
Affossato da una politica che non ha saputo o voluto difendere il nostro territorio, che ha accettato supinamente logiche imposte da altri, da chi ha potere, soldi, alleanze forti, e ha dimenticato chi non ha voce. Da una parte della politica che oggi – oggi stesso, per l'ennesima volta, davanti all'aeroporto – proverà a rifarsi la faccia, a raccontare che tre voli in più sono un successo, che qualche milione di euro è una svolta, che un treno per i pochi fortunati che battono tutti sul tempo a far click a Natale e Pasqua in questa assurda gara di disperati, è una genialata di cui vantarsi.
Ma noi non ci crediamo più.
Perché viviamo sulla nostra pelle il fallimento di cui nessuno vuole prendersi la responsabilità.
E allora oggi, mentre voi parlerete, io voglio chiedere una sola cosa: la verità.
Voglio sapere cosa è successo davvero. Chi ha deciso di tagliare fuori Comiso. Chi ha firmato le carte. Chi ha taciuto per convenienza. Chi ha venduto un'intera provincia per qualche tornaconto politico.
Diteci la verità. Guardateci negli occhi. Abbiate il coraggio di dirci che avete fallito. Poi, però, fate una cosa: rimboccatevi le maniche e iniziate a battervi per noi. Sul serio.
Andate a Palermo, a Roma, in Europa. Chiedete rotte, incentivi, investimenti veri. Esigete autonomia per lo scalo di Comiso. Pretendete trasparenza nella gestione. Difendete questo aeroporto come se fosse la vostra casa. Perché per noi lo è.
Non parlate solo in nostro nome. Parlate con noi, parlate per noi. E se non ne siete capaci, fatevi da parte. Io, con rabbia, ma anche con speranza.
Io, Chiara, una studentessa del Sud Est.
Ma potrei chiamarmi Alessia, Daniele, Sara o Giovanni. O, come Ulisse, Nessuno.
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