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Causa di non punibilità in caso di delitto di falsa testimonianza

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Com'è ben noto, l'art. 372 del Codice Penale disciplina il delitto di falsa testimonianza, individuando nel corretto e normale funzionamento dell'attività giudiziaria il bene giuridico tutelato dalla norma in esame.

E' necessario intanto riportare l'enunciazione dell'art. 372 c.p.:" Chiunque, deponendo come testimone innanzi alla Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni." Emerge in maniera chiara la volontà del legislatore di tutelare il corretto funzionamento dell'attività giudiziaria, dal punto di vista della effettiva veridicità e della completezza della testimonianza. 

Il delitto in esame è un reato proprio perchè può essere commesso esclusivamente da chi sia chiamato a deporre in qualità di testimone. Oltre ad essere un reato di mera condotta la fattispecie in esame rappresenta un reato di pericolo, ossia è sufficiente che la falsa testimonianza sia idonea ad influire sull'esito del processo, non essendo necessario che il giudice sia stato effettivamente fuorviato giungendo ad una sentenza erronea.

Difatti il momento consumativo dell'art. 372 c.p. coincide con l'espletamento della prova testimoniale, e non del procedimento ove il teste ha reso esame.
In conclusione, dunque, le forme attraverso cui il delitto può manifestarsi sono tre, ossia l'affermazione del falso, la negazione del vero e la reticenza.

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, nonché dall'articolo 375, primo comma, lettera b), e dall'articolo 378, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento. Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile."

La presente disposizione rappresenta una causa sopravvenuta di non punibilità a carattere soggettivo, volta a tutelare l'ipotesi del ravvedimento del colpevole, che abbia compromesso la genuinità e la completezza del mezzo di prova, e la conseguente tutela dell'interesse al conseguimento, seppur successivo, di dichiarazioni corrispondenti al vero.Tale ritrattazione deve essere cosciente e volontaria, anche semplicemente mossa dall'interesse del colpevole ad evitare la punibilità.

La norma in esame fa una distinzione tra falsità intervenuta in un processo penale o in un processo civile, data la differente importanza tra i due procedimenti in questione. Nel processo penale la ritrattazione può avvenire entro la dichiarazione di chiusura del dibattimento, mentre nel processo civile è sufficiente che essa intervenga prima della pronuncia di una sentenza definitiva, anche se non irrevocabile. Data la natura essenzialmente personale e soggettiva della norma in esame, è escluso che essa possa operare anche nei confronti di chi abbia istigato il reo a commettere i delitti elencati dall' art. 376 c.p., tranne nel caso in cui l'istigatore stesso abbia poi convinto l'istigato a ritrattare. In ciò consiste la netta differenza con le cause di non punibilità a carattere oggettivo le quali invece si estendono anche ai concorrenti nel reato.

In sostanza la ritrattazione consiste in una smentita non equivoca del fatto oggetto di deposizione accompagnata contestualmente dalla dichiarazione veritiera in ordine al medesimo fatto.Tale fattispecie è identificata da parte di dottrina e giurisprudenza quale esimente, mentre da altra parte quale scriminante. In ordine al delitto di falsa testimonianza ex art. 372 c.p., la ritrattazione non è l'unica causa di non punibilità applicabile al reato in esame, difatti opera anche l'art. 384 c.p..

Differenza sostanziale risiede però nel fatto che, quest'ultima opera esclusivamente nei casi in cui la falsa testimonianza sia stata commessa da chi vi sia stato costretto per salvare sè stesso o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore (c. 1), ovvero da chi per legge non avrebbe dovuto essere assunto come testimone, o non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque rispondere, o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere testimonianza. 

 

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