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Cassazione: la revoca ingiustificata di un incarico dirigenziale è causa di danno risarcibile

Nell´ambito dell´impiego pubblico contrattualizzato, per gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali - che rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall´Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro - in base agli artt.
1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento,
di cui all´art. 97 Cost., la PA è tenuta - fra l´altro - ad adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte, e qualora tale regola non venga rispettata, è configurabile un inadempimento contrattuale della PA, suscettibile, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile".

È l´importante principio di diritto affermato dalla quarta sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione con sentenza 2603/2018
con la quale, in coerenza con il primo assunto, i giudici di legittimità hanno anche rilevato
che se, illegittimamente, una Pubblica Amministrazione dà esecuzione al contratto individuale
di lavoro di un dirigente prima della registrazione del decreto di conferimento dell´incarico stesso da parte della Corte dei conti, si assume ogni responsabilità
inerente e conseguente alla eventuale sua mancata registrazione: e che, pertanto, secondo le suddette disposizioni, qualora la PA decida di procedere alla brusca revoca del suddetto incarico dirigenziale, invece di controdedurre ai rilievi formulati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo, deve farlo mettendo l´interessato in condizione di intervenire nel relativo procedimento decisionale e di conoscere adeguatamente le ragioni poste a base della scelta operata. Ciò in quanto tale scelta, risulterebbe lesiva del legittimo affidamento del destinatario dell´atto revocato sulla prosecuzione del rapporto, ingenerato dalla stessa PA, in quanto è a carico della PA
non mettere in esecuzione i provvedimenti soggetti al controllo preventivo della Corte dei conti fino alla conclusione del procedimento di controllo".



Sulla base di tali argomentazioni La Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata, trasmettendo alla alla Corte d´Appello di Salerno, in diversa composizione, per un nuovo esame.

La vicenda culminata con la sentenza della Corte di Cassazione ha tratto spunto dalla attribuzione di un incarico dirigenziale da parte del ministero dei Beni culturali e paesaggistici per la durata di tre anni, rispetto alla cui registrazione alla Corte dei Conti aveva però opposto il proprio rifiuto con una successiva revoca da parte dell´amministrazione.

La parte soccombente nel merito - il lavoratore - aveva quindi ritenuto di proporre ricorso in Cassazione fondandolo su tre distinte censure.
La Corte, preliminarmente, ha avvertito la necessità di precisare alcuni concetti che è utile riportare per la loro importanza:

"a) in ambito pubblicistico, è suscettibile di "mero ritiro" un atto amministrativo che, per sua natura, sia destinato ad essere superato dall´emanazione dell´atto conclusivo del procedimento, a differenza della revoca di un atto amministrativo, la quale ha effetti durevoli ed essendo idonea ad ingenerare il connesso legittimo affidamento, presuppone, per legge, l´instaurazione del contraddittorio procedimentale e la motivazione del provvedimento stesso, ai sensi dell´art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 (vedi, per tutte: Cons. Stato, Sez. III, sent. 7 luglio 2017, n. 3359; TAR Lazio Roma, Sez. H ter, sent. 21 giugno 2017, n. 7206);

b) è pacifico che "il visto della Corte dei Conti non è un elemento costitutivo del provvedimento amministrativo, ma è un atto autonomo che produce l´effetto di rendere efficace il provvedimento il quale, fino alla conclusione del procedimento di controllo, non può essere posto in esecuzione", sicché che "l´eventuale esecuzione di un atto prima della registrazione comporta l´assunzione di ogni responsabilità inerente e conseguente alla eventuale mancata registrazione" (ex plurimis: Cass. SU 24 ottobre 1990, n. 10323; Cass. SU 18 luglio 1980, n. 4690; Cass. 8 luglio 2005, n. 14362; Corte dei conti, delibera n. 10/2009/P del 19 giugno 2009, pronunciata nell´Adunanza del 21 maggio 2009)".

Venendo al punto centrale della controversia, poichè "nel pubblico impiego contrattualizzato gli atti e procedimenti posti in essere dall´Amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati dei dipendenti devono essere valutati secondo gli stessi
parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro", ed anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali - come quello di cui qui si discute - "rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall´Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro" non può esserci alcun dubbio che in tale ambito le norme contenute nell´art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 avrebbero applicato la p.a. datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, "anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all´art. 97 Cost., restando la scelta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro ma fermo restando che la stessa pubblica amministrazione sarebbe stata tenuta ad adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte poiché in caso contrario, per l´appunto, sarebbe configurabile un inadempimento contrattuale della PA, suscettibile, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile (Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21671; Cass. 14 aprile 2008, n. 9814; Cass.
12 ottobre 2010, n. 21088).



Poiché pertanto il MIBAC, dopo aver dato esecuzione al contratto concluso con X, consentendone la presa di possesso ancor prima di aver ottenuto il visto della
Corte dei conti, ha, con nota del 10 luglio 2008, rimosso l´interessato dall´incarico stesso, limitandosi a richiamare la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 142/59222 del 25 gennaio 2008, contenente i criteri da applicare da parte delle Pubbliche Amministrazioni per
l´attribuzione di incarichi nel periodo di crisi, ma senza offrire alcuna spiegazione in merito alla
scelta di revocare l´incarico così bruscamente senza neppure effettuare gli approfondimenti
richiesti dalla Corte dei conti, offrendo così giustificazioni rispetto ai profili di illegittimità
prospettati in sede di controllo preventivo di contabilità (Cass. SU 13 gennaio 1994, n. 9386;
Cons. Stato, 27 ottobre 2005, n. 6031), deve concludersi che "qualunque sia, nell´ambito del diritto amministrativo, la formale
qualificazione attribuibile alla suindicata nota di anticipata rimozione dall´incarico, quel che è
certo è che la PA non solo ha illegittimamente proceduto a dare esecuzione al suddetto contratto
prima della registrazione della Corte dei conti, assumendosi quindi ogni responsabilità inerente e conseguente alla eventuale mancata registrazione, come si è detto - creando una situazione idonea ad ingenerare un legittimo affidamento sulla prosecuzione del rapporto - ma senza che ne ricorressero le ragioni ha poi bruscamente interrotto tale esecuzione con un atto ad effetti durevoli, che non poteva che essere adottato con adeguate forme di partecipazione al relativo processo decisionale e con l´esternazione delle ragioni giustificatrici nei suindicati termini, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all´art. 97 Cost..

Da qui l´accoglimento del ricorso con rinvio per un nuovo esame alla Corte territoriale.


 

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