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Caso "Charlie", punti fermi e regole giuridiche: l´opinione di Carlo Rimini.

Di fronte a due genitori che lottano disperatamente per tenere il loro bambino in vita e sono impotenti di fronte alla decisione dell´ospedale in cui il piccolo è ricoverato di iniziare le operazioni che lo porteranno alla morte, si prova un senso di vertigine. I fatti sono descritti in modo molto dettagliato, quasi puntiglioso, dalle sentenze inglesi che hanno deciso che le cure devono essere interrotte.
I punti fermi sono questi. a) L´ospedale in cui il piccolo Charlie è ricoverato, rispettando le rigorose procedure inglesi previste per questi casi, ha deciso che continuare a curare il bambino è una forma di accanimento terapeutico poiché non vi è più alcuna possibilità di tenerlo in vita o comunque di riportarlo ad una vita consapevole. b) I genitori ritengono invece che possa essere tentata una cura sperimentale praticata in un ospedale americano dove il bambino potrebbe essere trasferito. c) I medici americani hanno confermato ai giudici che la cura sperimentale non è mai stata tentata su pazienti nelle condizioni di Charlie e molto probabilmente non avrà su di lui alcun effetto e comunque non potrà riparare i danni cerebrali già subiti, ma si può comunque tentare poiché certo non aggraverà la situazione.
Le regole giuridiche per affrontare una situazione così drammatica sono semplici. Sono uguali in Inghilterra ed in ogni Stato civile. a) Sono i genitori a fare le scelte relative al figlio e ciò fino a che la responsabilità genitoriale non è limitata da un giudice; b) L´autorità giudiziaria può limitare la responsabilità genitoriale solo se i genitori prendono decisioni pregiudizievoli per il figlio. Questo significa che solo di fronte alla prova che una decisione crea un pregiudizio, la responsabilità genitoriale può essere limitata e l´autorità giudiziaria si sostituisce al genitore nella valutazione del migliore interesse del bambino.
La frase chiave della sentenza inglese è quindi questa: «I medici dell´ospedale che ha in cura il bambino non escludono che egli possa provare dolore». È la questione dirimente perché se Charlie prova dolore allora è vero che i genitori vogliono inutilmente prolungare la sua sofferenza ed è vero che vogliono compiere un atto (cercare di farlo sopravvivere) che porta al bambino un pregiudizio (una sofferenza inutile). Se invece il fatto che possa provare dolore è una mera ipotesi improbabile (come è improbabile che la terapia alternativa gli giovi), allora la limitazione della responsabilità genitoriale è ingiustificata. Di fronte a una semplice ipotesi - «non escludono che possa provare dolore» - rimane una sensazione: è un accanimento giudiziario. È il loro bambino e sta morendo: lasciate loro almeno la libertà di sbagliare.
Scritto da Carlo Rimini
Ordinario di diritto privato nell´Università di Milano
pubblicato ne La Stampa

 

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