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Caduta da cavallo, SC precisa quando l'attività di maneggio è da qualificarsi come pericolosa

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Con ordinanza n. 6737 dell'8 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che «l'attività svolta presso un maneggio è da qualificare come pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c., quando si verta in tema di danni conseguenti ad esercitazioni di un principiante non in grado di governare le imprevedibili reazioni dell'animale, con applicazione della presunzione di cui all'articolo indicato, che prevede l'obbligo per il gestore dell'attività pericolosa di risarcire il danno a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo».

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa.

Il ricorrente gestisce un maneggio. È accaduto che una sua cliente ha acquistato un pacchetto di dieci lezioni equestri. Dopo aver svolto alcune lezioni, effettuando solo andature al passo e al trotto, sotto la guida della istruttrice, il ricorrente, nel corso di una lezione, mentre la cliente su indicata era a cavallo, ritenendo quest'ultima «pronta a iniziare il galoppo, malgrado i timori palesati dalla stessa, ha intimato all'animale ad alta voce l'ordine di partire al galoppo provocando il repentino scatto dell'animale e la caduta a terra della cliente, che ha riportato danni alla persona (trauma contusivo distorsivo del polso sinistro con frattura del radio)». Per tale motivo, la cliente ha agito in giudizio per ottenere dal maneggio il risarcimento dei danni subiti. Sia in primo che in secondo grado la domanda di quest'ultima è stata accolta.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione. 

La decisione della SC.

Innanzitutto nel caso di specie, bisogna distinguere tra i danni cagionati da un animale, oggetto della disciplina di cui all'art. 2052 codice civile e danni cagionati da attività pericolosa, oggetto della disciplina di cui all'art. 2050 codice civile.

Nel primo caso:

  • «il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito».

Nel secondo caso:

  • «chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno».

Questa distinzione è importante perché proprio dalla precisa qualificazione del tipo di responsabilità del danneggiante, è possibile comprendere quale sia la prova liberatoria per quest'ultimo. Infatti, nell'ipotesi di attività pericolosa, il responsabile, per liberarsi, deve dimostrare di aver fatto il possibile per evitare il danno; nell'ipotesi di danno cagionato da animale la prova liberatoria è data dal caso fortuito.

Detto questo, occorre chiarire quando le attività sono qualificate come pericolose.

Orbene, si intendono attività pericolose:

  • quelle considerate tali dalla legge di pubblica sicurezza e da altre leggi speciali;
  • quelle che, «per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati comportano, in ragione della loro spiccata potenzialità offensiva, una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, con accertamento concreto demandato al giudice di merito».

In punto, secondo un orientamento della giurisprudenza, richiamato, nel caso di specie, dai Giudici di legittimità, «l'attività di equitazione viene notoriamente annoverata tra le attività pericolose e sussunta nell'art. 2050 c.c. ma se la cavallerizza è esperta, la medesima attività rientra tra i danni cagionati dagli animali ex art. 2052 c.c.» (Cass. n.12392/2016). In buona sostanza, a parere dei Giudici di legittimità, quando siamo difronte a danni sorti a causa di esercitazioni di un principiante, poiché quest'ultimo non è in grado di affrontare le reazioni imprevedibili del cavallo, il gestore è responsabile per i danni da attività pericolosa e ha l'obbligo di provvedere al relativo risarcimento e ciò a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.

Tornando al caso di specie, la cliente del ricorrente è indubbiamente una principiante e, pertanto, alla luce di quanto sin qui detto, il maneggio risponde ai sensi dell'art. 2050 codice civile, non avendo lo stesso fornito la prova liberatoria richiesta per questo genere di casi. Con l'ovvia conseguenza che, ad avviso della Suprema Corte di cassazione, le doglianze dallo stesso formulate sono infondate e come tali vanno rigettate. 

 

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