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Bea, l'azzurra su una sedia a rotelle

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Lei è Beatrice, appena ventiquattro anni. È rumena, ma da sedici anni vive in Italia. Ormai, è il suo paese. Bea è un'atleta, il basket è la sua passione. Studia e tanto, ma quando ha un momento libero prende in mano quella palla a spicchi e ne fa quel che vuole. Quanti canestri dalla sua carrozzina, e quale gioia quando qualcuno le disse tu Bea di vestirai di azzurro, sei una campionessa e rappresenterai il tuo paese. Felicità. Bea è una campionessa, paralimpica della nazionale italiana di basket. Ho letto la sua storia, commovente, ed in questa storia c'è anche qualcosa di ripugnante, di ignobile. Un'aggressione ai suoi danni, ad Ardea, di fronte al cancello della propria abitazione. 

È passato del tempo, ma abbiamo il dovere di non dimenticare, di ricordare e raccontare. Bea è stata insultata. Doppiamente. È stata insultata perché rumena, ed è stata insultata anche perché disabile. "Vivo in Italia da anni, ho la cittadinanza italiana, ho fatto tutte le scuole qui e sto continuando gli studi all'università italiana, gioco nella nazionale italiana di basket in carrozzina e mi considero in tutto e per tutto italiana eppure sono stata aggredita, mio papà è stato aggredito ed è in ospedale probabilmente con uno zigomo rotto perché a detta loro siamo degli stranieri del cazzo che devono tornare al loro paese, tralasciando le offese che mi sono presa perché sono disabile". E ancora: "Non dite che il razzismo in Italia non esiste perché io l'ho vissuto oggi dopo 16 anni che vivo qui e fa male. A voi che ci avete aggrediti, vergognatevi saremo anche stranieri ma abbiamo più dignità di voi, e voi che avete guardato il tutto senza alzare un dito vi dovreste vergognare più di loro".

 Beatrice Ion non è solo una campionessa nello sport ma una ragazza che onora l'Italia e di fronte alla quale io mi tolgo il cappello. Una figlia e una sorella. Io, a Bea, chiedo scusa, a nome mio e di tutti noi. Che abbiamo, avremo tanto da fare per ricacciare indietro i rigurgiti di quello schifo che si chiama razzismo, ma anche perchè la disabilità non debba significare essere cittadini di serie B.

 

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