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Attività commerciale e assenza di conformità edilizia, TAR Lazio: in pendenza della procedura di condono il silenzio della P.A. a certe condizioni equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria

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Con sentenza n. 10651 del 5 novembre 2018, il TAR Lazio ha stabilito che uno dei requisiti che presiedono al legittimo svolgersi dell'attività commerciale è costituito dalla regolarità urbanistica ed edilizia del locale. Se tale regolarità non sussiste ed è stata presentata una domanda di condono, sulla quale il Comune non si è pronunciato, è necessario verificare se dalla presentazione di tale istanza siano decorsi inutilmente ventiquattro mesi. In tal caso, l'assenza di un "provvedimento negativo" equivale a "titolo abilitativo edilizio in sanatoria", a determinate condizioni. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposto all'esame dei Giudici amministrativi. La ricorrente, titolare di una struttura alberghiera ha impugnato i provvedimenti con cui il Comune ha inibito l'attività di ricezione alberghiera oggetto della SCIA appositamente presentata. La pubblica amministrazione ha ritenuto di inibire tale attività per l'assenza del requisito di conformità edilizia. A dire della ricorrente tale provvedimento è illegittimo. E ciò in considerazione del fatto che detta mancanza è imputabile ai ritardi del Comune nella doverosa evasione delle pratiche del condono a suo tempo richiesto dalla proprietà dell'immobile. Il caso è giunto dinanzi al TAR. Quest'ultimo, innanzitutto, ribadisce che con riferimento ad un'attività commerciale, come quella da esercitarsi in una struttura alberghiera, la regolarità urbanistica ed edilizia dell'immobile è requisito fondamentale. Per tale motivo, quando sono presentate richieste finalizzate ad apportare delle modifiche alla struttura preesistente aventi ad oggetto, per esempio, l'ampliamento della capacità della struttura medesima, il requisito su menzionato deve essere presente già nel patrimonio della proprietà del richiedente. In punto, è pacifico l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui uno dei requisiti che presiedono al legittimo svolgersi dell'attività commerciale è costituito dalla regolarità urbanistica ed edilizia del locale (vedasi, ex plurimis, TAR Lazio, II ter, 16 giugno 2017, n. 7097; 14 marzo 2018, nr. 2888; 20 giugno 2018, nr. 6910 ed altre ivi richiamate).


Nel caso in cui detta regolarità non sussiste, sarà necessario verificare se tale mancanza sia imputabile:

  • alla proprietà del locale (ossia verificare se ha presentato le necessarie istanze di condono);
  • oppure al Comune (ossia verificare che non ha definito tali istanze).

Contestualmente a tale verifica, sarà opportuno accertarsi se l'eventuale ordine inibitorio dell'attività commerciale emesso dalla pubblica amministrazione, in pendenza della procedura di condono, sia legittimo o meno. Se all'esito di tale verifica, emerge che il ritardo sia imputabile al Comune, il quale non ha provveduto entro ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda di condono, ai sensi dell'art. 32, comma 37, del D.L. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), l'assenza di un "provvedimento negativo" equivale a "titolo abilitativo edilizio in sanatoria". Tuttavia, affinché l'inerzia del Comune produca tale effetto, devono sussistere tutti i requisiti previsti dalla norma, ossia:

  • l'avvenuto pagamento dell'oblazione dovuta e degli oneri di concessione;
  • l'avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria (vedasi da ultimo Consiglio di Stato, VI, 7 settembre 2018, nr. 5273).

Detto questo, appare evidente che nel caso in cui sia stata presentata una domanda di condono e si sia formato il silenzio assenso, la parte interessata che intende attivare un esercizio di tipo commerciale o alberghiero in un locale nella sua disponibilità:

  • dopo aver presentato la SCIA, se è destinataria di un provvedimento inibitorio, può nel relativo giudizio di annullamento, far valere il titolo abilitativo tacito, dimostrando la concorrenza dei relativi presupposti su indicati;
  • oppure, prima di presentare la relativa SCIA, nel caso sussistano incertezze oggettive circa l'esito della domanda di condono, può agire contro l'inerzia dell'Amministrazione con gli opportuni rimedi processuali, così da ottenere la conclusione del procedimento con un provvedimento formale ( TAR Sicilia, Catania, I, n. 482/07, n. 717/07).

Orbene, tornando alla fattispecie in esame, non risulta che la ricorrente abbia agito nei modi su indicati. Infatti, non risulta che la stessa abbia avviato, prima della presentazione della SCIA, un giudizio per ottenere un provvedimento espresso in punto di domanda di condono da parte del Comune, né, nel giudizio di cui stiamo discorrendo, pare abbia invocato la formazione tacita del titolo abilitativo in sanatoria. Ne deriva che l'accoglimento della tesi della ricorrente, secondo cui in pendenza dell'esame delle domande di condono sarebbe inibita all'Amministrazione l'adozione di provvedimenti restrittivi o comunque sanzionatori, non è applicabile al caso di specie. E ciò in considerazione del fatto che, mancando i requisiti di regolarità urbanistico-edilizia richiesti dalla legge per l'avvio di attività commerciali, come quella del ricorrente, l'inibizione di tale attività non è preclusa al Comune. In tali casi, essa non ha natura sanzionatoria, ma è semplice conseguenza della incompleta manifestazione di tutti i requisiti di legge preposti al libero esercizio dell'attività. Non trattandosi di attività di tipo sanzionatorio (come sarebbe, ad esempio, l'ordine di demolizione e di riduzione in pristino), non sussistono le interferenze logiche e necessarie tra procedimenti che il principio invocato dalla ricorrente è teso ad evitare e prevenire (l'ordine di demolizione presuppone il definitivo accertamento della irregolarità edilizia ed urbanistica del manufatto che l'istanza di condono è volta a rimuovere e che dunque deve, pregiudizialmente, definirsi prima). Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il TAR ha ritenuto infondate le doglianze della ricorrente e ha rigettato la relativa impugnazione. 

 

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