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Assegno di divorzio: contano sacrificio e ruolo in famiglia della ex moglie.

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 Quando cessa definitivamente il matrimonio e si instaura il giudizio di divorzio, il coniuge che non ha mezzi adeguati per mantenersi o che non può procurarseli per ragioni oggettive come ad esempio l'età avanzata, l'invalidità o altro, ha diritto al mantenimento e cioè all'obbligo a carico dell'altro coniuge di somministrare a suo favore, un assegno periodico.

Nello stabilire l'assegno, il giudice deve tenere conto di tutta una serie di elementi e cioè delle condizioni dei coniugi, del contributo economico e personale che ognuno di essi ha dato alla conduzione della famiglia, alla formazione del patrimonio ed anche della durata del matrimonio.

Recentemente è intervenuta la Cassazione con un'interessante ordinanza la n. 27948/2022.

In primo grado, il Tribunale aveva negato alla moglie in un giudizio di divorzio, la domanda relativa all'assegno di divorzio a suo favore, assegno che per dieci anni il marito aveva versato volontariamente in sede di accordi pari ad euro 17.200 oltre rivalutazione. Il Tribunale stabiliva, invece, il pagamento a favore dei figli di euro 5000 oltre le spese straordinarie.

La donna impugna la decisione in Corte d'appello, che accoglie in parte il ricorso, stabilendo il diritto della donna a ricevere l'assegno, riducendolo però rispetto a quanto versato all'origine dal marito ad euro 6000, oltre all'obbligo del mantenimento dei figli, delle spese di riscaldamento e manutenzione del parco della casa familiare assegnata alla donna che vi risiede con i figli. 

 La ex moglie ricorre in Cassazione sulla questione dell'assegno e contesta la riduzione.

La Cassazione ritiene fondato il motivo del ricorso, in quanto essendo stata adottata la decisione prima delle SU del 2018, che ha dettato i nuovi criteri per la determinazione dell'assegno, la Corte non ha potuto applicare la giurisprudenza , facendo riferimento a quanto previsto in precedenza  ed in particolare a quanto ritenuto valido fino alla nota sentenza n. 11504/2017, per cui l'assegno di divorzio era finalizzato a far conservare al coniuge lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.

Come risaputo la sentenza n. 18287/2018 stabilisce, invece, che l'assegno di divorzio cui si attribuisce una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma che costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione.

In particolare, bisogna tenere conto della valutazione comparativa delle condizioni economico – patrimoniali delle parti, del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e della formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione anche alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.

Con tale sentenza si è quindi sancito il principio di auto responsabilità, eliminando il tenore di vita.

 Pertanto, secondo l'ordinanza n. 27948/2022, il ricorso è fondato poiché la decisione impugnata è stata adottata prima delle SU del 2018, che ha dettato i nuovi criteri per il riconoscimento e la quantificazione dell'assegno di divorzio.

Per la Cassazione la Corte d'Appello nell'applicare la riduzione ha quindi trascurato fattori come  lo squilibrio economico tra i coniugi, il sacrificio della moglie del lavoro di insegnante e il contributo dato all'accrescimento del patrimonio anche del coniuge.

Alla luce però della sentenza del 2018 la Corte d'Appello, nel rispetto dei nuovi criteri, nel caso in questione ha ritenuto che la scelta di non lavorare più era stata condivisa e pur avendo avuto la possibilità la donna di lavorare avendo una sua professionalità, nonostante un matrimonio durato neanche 9 anni e la giovane età della donna al momento della separazione ( 43 anni), non aveva mai tentato di riprendere con il lavoro, dimostrando così di non aver sacrificato alcuna aspettativa professionale non avendo mai neppure tentato di rendersi autonoma.

Considerando le difficoltà oggi per la donna di reinserirsi nel mondo del lavoro, all'età di 53 anni e con una mercato molto diverso, eppur vero che la stessa gode di un ingente patrimonio, pertanto, l'assegno di 6.000 euro al mese alla Corte è sembrato più che congruo, trascurando però come già detto i nuovi criteri delle SU del 2018. 

 

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