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15 ottobre, l'affaire Dreyfus: quando la giustizia e la verità non si incontrarono

Il 15 ottobre 1894, in una Francia lacerata dal nazionalismo militarista e bonapartista, da un'aspra lotta contro il laicismo e dal conservatorismo monarchico, tutti fattori che minacciano la sopravvivenza della Terza Repubblica nata dopo la sconfitta di Sedan, il capitano Alfred Dreyfus, ebreo nato in Alsazia, allora territorio tedesco, viene accusato di alto tradimento. Avrebbe fornito informazioni militari riservate all'ambasciata tedesca. Il 19 dicembre inizia il processo; il Consiglio di Guerra, dopo numerose schermaglie con la difesa, decide di celebrarlo a porte chiuse, con la motivazione che sono in gioco importanti interessi nazionali: è l'annuncio di una sicura condanna. Il 22 dicembre viene emessa la sentenza: all'unanimità Dreyfus è condannato alla deportazione a vita ed alla degradazione militare. Il 5 gennaio 1895, nel cortile della Scuola Militare di Parigi, Dreyfus viene degradato: il suo grido disperato – "Sono innocente!" – si sovrappone, come un debole controcanto, alla melodia principale di una folla minacciosa che grida – "Morte all'Ebreo!", "Morte al Giuda traditore!"-. Quella mattina, tra il pubblico di giornalisti, è presente Theodor Herzl, inviato speciale del quotidiano viennese «Neue Freie Presse»: la disumanità di quella colorita rappresentazione che aveva al centro della scena un ebreo, le urla di odio della folla al suo indirizzo, cambiarono il corso della sua vita: nella sua mente lucida e irrequieta nasceva il programma sionista. La straziante scena dell'ufficiale ebreo degradato svelava, ancora una volta, che l'ennesima persecuzione stava per iniziare, che gli ebrei non potevano considerarsi al sicuro neppure in seguito alle leggi emancipatorie e proprio nel paese che, per primo, li aveva resi liberi cittadini. Dreyfus è deportato nell'Isola del Diavolo, famigerata colonia penale al largo della Guyana francese. A "incastrarlo" è una lettera anonima indirizzata all'attaché militare tedesco, comunicante il prossimo invio di cinque documenti militari interessanti la sicurezza nazionale. Poco importa, però, che l'uomo sia innocente. La moglie ed il fratello dell'ufficiale, aiutati dallo scrittore Bernard Lazare, si mobilitarono immediatamente per fare riaprire il caso e per salvare quell'uomo, che loro sapevano innocente, da un'accusa che traeva fondamento solo nella recente ondata di antisemitismo che aveva colpito la Francia. Mentre nelle piazze francesi si gridava "morte agli ebrei!", all'interno delle mura del tribunale era stato consumato uno dei più grandi errori giudiziali della storia: Dreyfus era benestante, un militare insignito, un padre di famiglia e soprattutto un ebreo, dunque un traditore perfetto. Dovranno trascorrere dodici anni e due processi prima che l'accusa cada completamente. A discolparlo non servirà nemmeno il pronunciamento del capo dell'ufficio informazioni dello stato maggiore, il colonnello G. Picquart, che provò che il documento incriminato era di calligrafia del maggiore di fanteria M.-Ch.-F. Walsin Esterhazy. La revisione del processo nel 1899 confermò la colpevolezza di Dreyfus che venne nuovamente condannato a 10 anni di carcere, ma il Presidente gli concesse immediatamente la grazia. Solo nel 1906 Dreyfus sarà reintegrato nell'esercito da cui era stato cacciato con infamia. Mentre, a essere condannato fu proprio Esterhazy.  

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