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Salvatore Buscemi, “Tramonto della civiltà contadina e mestieri di una volta in Sicilia

rizzo

Le trasformazioni, rapide e fulmine, alle quali ci siamo abituati, grazie al progresso, travolgono tutti in un eccitato stare dietro ad un futuro il cui primo sacrificato è proprio la memoria, indispensabile e geloso guardiano di ogni identità.

Così nell'era delle grandi tecnologie avanzate, ogni processo produttivo viene continuamente ed incessantemente superato, inattuale: tutto diventa "vecchio".

Ma da qualche decennio per fortuna, assistiamo ad un fiorire di libri sulla civiltà contadina con la "complicità", sana ed intelligente, di numerosi Musei che sapientemente conservano tutto ciò che è stato risparmiato dal tempo. Grazie, anche, alla caparbietà di conservatori e di scrittori, di insegnanti e di amministrazioni, di volontari e di persone, non molte, a dire il vero, per motivi anagrafici, che nei Musei hanno ritrovato la loro antica giovinezza.

Nonni che, miscelando fantasia e realtà, raccontano a scolari attenti ed incuriositi, a 'mo di favola, i tempi e i modi della preparazione dei campi, della semina, della mietitura del grano, della preparazione dell'aia e, finalmente dopo un tempo lungo di attesa, il grano da portare a casa. E così per altri cicli di altre produzioni agricole della terra Madre.

Ed è questo il contesto dell'ultima opera, pubblicata postuma, del Direttore Didattico, non amava la nuova terminologia di "dirigente", Salvatore "Totò" Buscemi di Niscemi, scomparso alla fine del mese di marzo di quest'anno.

"Tramonto della civiltà contadina e mestieri di una volta in Sicilia", con disegni di Salvatore Cusa, raffinato illustratore, ed edito dalla Società di Storia Patria di Caltanissetta. A Niscemi il libro è acquistabile nella cartolibreria di Piero Rizzo.

Fin dalla dedica si capisce quale sia stata la molla di questa ultima opera del direttore Buscemi, di famiglia contadina: "A miei genitori, ai miei fratelli, a quanti hanno saputo trovare nel lavoro dei campi e nei mestieri ad essi connessi condizioni di emancipazione e prospettive di futuro".

Un testo di tre capitoli e un'Appendice.

Nella prima parte si occupa, con un breve excursus storico, dalla nascita dell'agricoltura alla conquista dei diritti nei vari ambiti lavorativi: dal settore preminentemente agricolo, il primario, al secondario e al terziario.

Nella seconda parte i disegni di Salvatore Cusa, rigorosamente in bianco e nero, rendono vivi e palpitanti le scene che riproducono quei momenti di vita contadina: semplice e povera. Ma dignitosa. 

 Entriamo nel vivo dell'opera con la descrizione degli antichi mestieri e delle tradizioni popolari, dell'influenza del clima nei vari periodi della produzione, dei tempi e delle attese per il ciclo finale del raccolto, che non sempre era abbondante.

Vengono illustrate, con disegni semplici e con l'aiuto di qualche proverbio in dialetto, le colture più diffuse nelle società agricole del passato, le varie tecniche di lavorazione dei campi, rigorosamente manuali e le differenze tra i sistemi produttivi di ieri e di oggi.

"Giugno mette la falce in pugno, dice un vecchio proverbio. In questo mese, le spighe maturano, diventano gialle, secche, i gambi si irrigidiscono e son tutti protesi verso l'alto, pronti per la mietitura. Questo avveniva fino a tutto il primo cinquantennio del Novecento, quando non erano ancora arrivate da noi le mietitrebbie. Allora, per mietere un ettaro di superficie coltivata a frumento, occorreva una giornata lavorativa di quattro contadini, da sole a sole, con brevi soste per due pasti frugali, consumati in fretta, in attesa della sera, per il pranzo a base di pastasciutta". […] Ogni mietitore aveva la sua falce dentata, tenuta con la mano destra, pronta a tagliare gli steli del grano all'altezza di circa 20 cm. da terra, impugnandoli con la mano sinistra e deponendoli quindi per terra in piccoli mazzi, detti mannelli, (in dialetto 'iermiti')".

Per lo steso lavoro oggi una mietitrebbia impiega un paio d'ore.

Mentre la terza parte si occupa "dei servizi" nell'abitato.

Un contributo alla memoria dei padri, dei fratelli e dei nonni che della "Madre Terra" traevano, a volte, l'unico sostentamento famigliare.

La terza parte descrive la nascita e dell'informatica e delle nuove tecnologie che fatalmente si sono imposte, con velocità inimmaginabile, in rapporto ai milioni di anni che sono trascorsi tra l'Uomo raccoglitore e l'era della cibernetica.

Di questo problema, il direttore Buscemi, si era già occupato in altri suoi testi, ponendo l'attenzione sull'utilità di un uso corretto e virtuoso di queste nuove tecnologie.

Un contributo alla conoscenza di termini dialettali legati ai mestieri e ai relativi mezzi di produzione. Un vero e proprio glossario affinchè ci si possa destreggiare in un mondo sconosciuto alle nuove generazioni.

Ogni glossa ha una spiegazione per rendere il libro accessibile ai giovani, soprattutto. Ma non solo.

Un "glossarietto" che contiene alcune glosse riguardanti la civiltà contadina niscemese.

Si tratta di frasi da studiare, da spiegare, da commentare, da contestualizzare.

Un invito a quei giovani studiosi che desiderano salvaguardare alcune parole, alcuni detti del mondo dei nostri nonni e bisnonni. A partire da ora, possono fare affidamento a questo lascito di Salvatore Buscemi.

Ogni glossa è arricchita dai disegni di Salvatore Cusa che ne contestualizza, e riproduce, l'ambiente di lavoro dei nostri vecchi e cari amati progenitori.

La presenza di Cusa, tra l'altro è un profondo conoscitore di questa realtà avendola indagata attraverso i "proverbi", è indispensabile in un'opera di questo tipo.

Questo testo ha una sua valenza specifica, la memoria, che ci aiuta a delineare i caratteri della nostra identità, della nostra appartenenza.

Identità e appartenenza che oggi, purtroppo, sono in grande sofferenza.

Espressioni che oggi circolano ancora con più convinzione, vista la crisi economica che attanaglia, e non solo, il nostro Paese.

Paradossalmente, ma non tanto, libri come questo ci inducono a riflessioni che ci fanno ben capire l'importanza della Memoria nella ricerca di un'Identità e del senso di Comunità, che hanno latitato negli ultimi decenni nel nostro Paese.

Ad onor del vero non bisogna dimenticare che nel Mezzogiorno d'Italia, in generale, e in Sicilia, in particolare, sono mancati i modelli su cui ispirarci e le risorse finanziarie per uscire dal quel mondo di "agricoltura di autosufficienza", che permettesse di rendere possibile lo sviluppo dell'agricoltura, in senso moderno.

L'Appendice si occupa del dialetto e dell'antica polemica di quanti hanno sostenuto, nel passato, la necessità che il dialetto si studiasse anche a scuola.

Dopo un'analisi dell'uso "parco" della presenza del dialetto nella narrativa, invece trova una giusta collocazione in letteratura e in certi film. E alla fine si chiede con una bellissima pagina di pedagogia linguistica: "Quale destino avrà il dialetto regionale nel terzo millennio? Scomparirà del tutto sotto l'incalzante invadenza della lingua standard dei mass-media e delle lingue europee o sarà valorizzato per il recupero della memoria e dell'identità storica delle diverse aree linguistiche? La proposta di introdurre nella scuola dell'obbligo la lingua dialettale come disciplina d'insegnamento mi sembra comunque priva di fondamento pedagogico. Occorre domandarci prima di tutto quali saperi dobbiamo fornire agli alunni del nostro tempo per renderli capaci di vivere responsabilmente e con competenza nella società del terzo millennio; cioè nel mondo globalizzato, fondato sulla conoscenza e sulla competenza, sulle nuove professioni richieste dal continuo sviluppo dell'informatica e dall'introduzione della tecnologia digitale in ogni settore della vita umana. In questo contesto, quali contributi può apportare la competenza linguistica dialettale nel mondo del lavoro e nelle relazioni internazionali?

Personalmente, ritengo sia preferibile tener desto l'interesse per la lingua dialettale, facendone oggetto di ampliamento e integrazione dell'offerta formativa, in ore aggiuntive e opzionali, sulla base di scelte autonome da assumere all'interno di ogni istituzione scolastica. Evitando, s'intende, di appesantire lo studio degli alunni con nuove grammatiche e nuove sintassi che renderebbero noioso e sterile questo insegnamento. Per salvaguardare il dialetto dall'oblio o dall'estinzione, e per valorizzarne le ricche potenzialità formative, occorre evitare gli eccessi, perché eccedere in un modo o nell'altro è sempre sbagliato".

Una serie di disegni di Salvatore Cusa, chiude questo istruttivo testo della Memoria collettiva costantemente alla ricerca di nuovi rivoli identitari per un futuro sempre più a portata di ognuno di noi.

Faremmo un torto allo scrittore Buscemi se non accennassimo alla sue numerose pubblicazioni, che rappresentano una vera "bibbia" laica dell'insegnamento.

Ma di questo troveremo il tempo di presentare altre sue opere. Ne vale la pena.

PS. Nella foto il direttore Buscemi è con Helen Parkhurst (1886-1973), allieva prediletta di Maria Montessori, in un Convegno, 1970, sul Primo Centenario della nascita di Maria Montessori. 

 

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