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Iscrizione a più albi e a una Cassa di previdenza avvocati di un paese membro: cosa accade?

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Se un avvocato è iscritto all'albo degli avvocati in un paese europeo e alla cassa di previdenza di quello stato, ed è altresì iscritto all'albo di uno degli Ordini forensi italiani, non può operare una scelta della legislazione di sicurezza sociale dello Stato in cui desidera sia attuata la sua protezione sociale, essendo la materia previdenziale caratterizzata da indisponibilità e inderogabilità.

Questo ha statuito la Corte di Cassazione con sentenza n. 5376 del 22 febbraio 2019 (fonte http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/).

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il resistente è un avvocato iscritto all'Albo degli Avvocati in Germania nonché alla Cassa di Previdenza degli Avvocati dello Stato Federato tedesco e all'Albo degli Avvocati di Milano. È accaduto che è stato destinatario di una cartella esattoriale con la quale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense italiana gli ha chiesto il pagamento di somme a titolo di conguaglio del contributo integrativo e relative sanzioni, nonché le sanzioni per il mancato invio della comunicazione prevista dall'art. 17 della legge 20 settembre 1980 n. 576. Il resistente ha impugnato detta cartella, facendo rilevare che lui ha optato per la Cassa di Previdenza tedesca, e per tal verso non può essere assoggettato a più leggi previdenziali ragion per cui – a suo dire – la Cassa forense italiana - dalla quale era stato cancellato sin dal 1997 - non può chiedergli né l'invio delle comunicazioni ex art. 17 della L. n. 576/80 né il pagamento del contributo integrativo. 

In primo grado la sua opposizione è stata respinta, mentre in secondo grado è stata accolta.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione della SC

Innanzitutto i Giudici di legittimità fanno rilevare che nel caso di specie non può trovare applicazione il principio richiamato dal resistente e di cui alla sentenza della Suprema Corte n. 24784/2009, secondo cui «l'obbligo di comunicazione dell'ammontare del reddito professionale alla Cassa di previdenza è correlato all'iscrizione alla Cassa medesima, a prescindere dalla nazionalità, e non sussiste per gli avvocati iscritti in altri albi professionali e alle relative Casse di previdenza, a la stregua dell'art. 17 della legge n.576 del 1980 e delle istruzioni della Cassa di Previdenza Forense con le quali, in sede di autoregolamentazione, la Cassa ha escluso, per tali avvocati, l'obbligo di comunicazione. Pertanto, l'avvocato cittadino di un paese dell'Unione Europea, iscritto all'Albo degli avvocati nel paese di provenienza e alla relativa Cassa di previdenza, non ha alcun obbligo di comunicazione alla Cassa di Previdenza italiana dell'ammontare del reddito professionale, conseguendone l'illegittimità della penalità comminata, dalla Cassa Nazionale Forense, per l'asserita violazione». La mancata applicabilità di tale principio alla fattispecie in esame discende:

  • in primis dalla mancata proposizione nel ricorso introduttivo della questione concernente l'obbligazione contributiva;
  • in secondo luogo, dal fatto che, con riguardo al caso di specie, a) per l'iscrizione alla Cassa, al tempo in cui si colloca la fattispecie, occorrevano due requisiti: l'iscrizione all'albo professionale e l'esercizio della professione con carattere di continuità (secondo la regola esistente prima dell'introduzione dell'automaticità dell'iscrizione alla Cassa a seguito dell'iscrizione all'albo degli avvocati ex art. 5 del Regolamento di attuazione ed art. 21, L. 31 dicembre 2012 n.247) sicché non potevano usufruire della previdenza forense coloro che non esercitavano la libera professione in modo occasionale pur rimanendo iscritti all'albo professionale; 

    b) si discute del contributo integrativo e non di quello soggettivo, il primo dovuto per il fatto di essere iscritto Albo ma non anche alla Cassa e, quindi, "sterile" perché non produttivo di alcuna prestazione per il soggetto tenuto al pagamento e con finalità meramente solidaristiche, il secondo finalizzato alla creazione di una posizione previdenziale (Cass. 32167 del 12 dicembre 2018).

Chiarito ciò, la Corte di Cassazione fa rilevare che la materia previdenziale è caratterizzata da indisponibilità e inderogabilità; caratteri, questi, che fanno escludere che il soggetto interessato alla tutela previdenziale possa operare una scelta della legislazione di sicurezza sociale dello Stato in cui desidera sia attuata la sua protezione sociale o possa optare di conformarsi o meno alle prescrizioni dell'ente previdenziale deputato a presidiare le regole di sicurezza sociale e, in genere, delle istituzioni di sicurezza sociale dei singoli Stati membri dell'Unione (Cass. n. 6776 del 19/03/2018). L'obbligo di versamento del contributo integrativo, infatti, deriva non dalla iscrizione alla Cassa, bensì dalla prestazione professionale resa ed il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente. A questo deve aggiungersi che nella questione in esame non risultano allegati o provati dal resistente quegli elementi sulla cui scorta la normativa comunitaria applicabile ratione temporis costituita dal Regolamento CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, n. 883, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale delle legislazioni dell'Unione europea per le attività (professionali per quanto ne occupa in questo giudizio) individua la legge previdenziale applicabile. Gli elementi in questione, il cui carattere univoco viene attribuito dal Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, 16 settembre 2009, n.987, sono la residenza, la durata e la continuità della presenza nel territorio degli Stati membri e il luogo in cui l'attività è esercitata abitualmente, con stabilità dell'attività lavorativa. L'abitualità dell'esercizio dell'attività in due o più Stati membri, al di fuori della rigida temporaneità finisce per far prevalere la legislazione dello Stato membro di residenza, se i) una parte sostanziale dell'attività è esercitata in tale Stato membro, oppure alla legislazione dello Stato membro in cui si trova il centro di interessi delle attività, ii) la persona non risiede in uno degli Stati membri nel quale esercita una parte sostanziale della sua attività. Orbene, nella fattispecie in discussione, il resistente non ha allegato la ricorrenza di alcuno dei criteri di collegamento previsti dai menzionati regolamenti e fonda la sua pretesa solo sul fatto di avere optato per l'iscrizione nell'Albo e nella cassa tedeschi, opzione che, per quanto sopra esposto non è rilevante.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la decisione impugnata con rinvio alla Corte d'appello in diversa composizione.

 

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