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Il S.C. chiarisce quando un gestaccio in udienza costituisce oltraggio alla Corte

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 I giudici della Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 51970 del 16 novembre 2018, hanno affermato che nell'ipotesi di reatodi oltraggio ad un magistrato in udienza, punito dall'art. 343 p.c., lo stesso si configura tutte le volte in cui la condotta sia idonea in astratto a ledere l'autorevolezza del magistrato, a prescindere dalla circostanza che il giudice l'abbia o meno direttamente percepita.

I Fatti

Nel corso di una pubblica udienza, un avvocato, dopo aver manifestato il proprio disappunto per le modalità con cui il giudice conduceva l'udienza, si rivolgeva verso il settore riservato al pubblico, ove si trovavano anche altri avvocati, facendo con le mani il gesto, caratterizzato dai pollici ed indici aperti, che come scritto in sentenza, sta ad indicare,«ti faccio un culo così».

Per tale condotta l'avvocato veniva sottoposto a procedimento penale, a seguito del quale veniva ritenuto responsabile penalmente e condannato per il reato di oltraggio ex art. 343 c.p. . Anche la Corte di Appello di Brescia confermava la sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado.

 Avverso quest'ultima sentenza veniva proposto ricorso in cassazione con il quale il difensore dell'imputato deduceva con il primo motivo la violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la Corte aveva omesso di motivare in ordine alle doglianze riguardanti la configurabilità del dolo, essendo stato dato conto di una condotta volontaria ma non specificamente di una rappresentazione o di una volizione del fatto. Secondo il difensore il gesto non era diretto al magistrato e pertanto non avrebbe potuto rivestire il carattere offensivo dell'onore e del prestigio del giudice.

Col secondo motivo del ricorso il ricorrente deduceva il vizio motivazionale in quanto la sentenza si presentava illogica e non esauriente in quanto non aveva valutato correttamente le dichiarazioni rese da tre testi.

Motivazione

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché volto a prospettare una diversa ricostruzione dell'episodio sulla base delle prove acquisite, ciò che esula dal giudizio di legittimità.

 Con riferimento al primo motivo, i giudici della Sesta Sezione hanno fatto rilevare che la Corte territoriale, contrariamente agli assunti del ricorrente, non si è limitata a valutare la volontarietà del gesto, ma ha anche fatto evidenziare l'inequivoca direzione dello stesso verso l'offesa dell'onore e del prestigio del magistrato nell'ambito dell'udienza pubblica.

Irrilevante è stata considerata la circostanza che il magistrato non si era accorto del gesto, in quanto nella concreta dinamicità della condotta sono stati individuati gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, sia sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo della direzione della volontà.

Nel caso di specie secondo i giudici di legittimità, il reato risulta integrato in quanto la condotta è stata riconosciuta idonea a " compromettere quei requisiti di efficacia e di autorevolezza che devono assistere l'azione del magistrato, non essendo indispensabile che la condotta sia da esso direttamente percepita, ma occorrendo che la stessa sia di per sè tale da determinare quelle condizioni di pregiudizio, che valgono ad offendere il bene tutelato dalla norma incriminatrice".

Il secondo motivo dedotto dal ricorrente, volto a contestare la ricostruzione sulla base di una diversa lettura delle testimonianze, si colloca al di fuori dello scrutinio di legittimità, dovendosi escludere che la Corte d'Appello si sia basata su una parziale verifica delle prove acquisite, che risultano al contrario non illogicamente valutate.

Per tali motivazioni il ricorso proposto è stato dichiarato inammissibile e la sentenza di condanna confermata.

Si allega sentenza 

 

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