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Genitori e dovere di mantenimento dei figli maggiorenni.

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 Il dovere di mantenimento dei figli maggiorenni è previsto dall'art. 30 della Costituzione e dagli articoli 147 e seguenti del codice civile.

Si tratta di una tematica, oggetto da sempre, di un vivace dibattito da parte delle Corti chiamate a decidere, di volta in volta, caso per caso.

La legge stabilisce l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non prevedendo alcuna cessazione ipso facto per via del raggiungimento della maggiore età.

Tale obbligo è stato ulteriormente rafforzato dalla novella della legge n. 54/2006 che all'art. 155-quinquies ha stabilito che "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico". Non si tratta, tuttavia, di un obbligo protratto all'infinito, ma dalla "durata mutevole" da valutare caso per caso (Trib. Novara n. 238/2011).

Ovviamente, l''obbligo incombe anche in capo ai genitori non coniugati e anche ove un genitore sia dichiarato sospeso o decaduto dalla responsabilità genitoriale.
Se le parti non concordano sull'importo dell'assegno, esso viene stabilito dal tribunale, prevalentemente in misura mensile forfettizzata, mentre le spese straordinarie vengono in genere individuate in base ad una misura percentuale sempre tenendo conto delle capacità economiche dei genitori.

Il diritto al mantenimento rientra tra i diritti indisponibili, pertanto viene determinato dal giudice anche ove i genitori non ne facciano specifica istanza.

L'assegno di mantenimento è inoltre  impignorabile e non è compensabile con altri eventuali crediti.

 Il contributo al mantenimento viene normalmente corrisposto al genitore collocatario dei figli, anche se, in casi specifici può essere previsto o disposto il mantenimento diretto dei figli specie nei casi in cui i tempi di collocamento siano pressoché paritari.

E dunque cosa succede quando i figli diventano maggiorenni?

E' evidente che un genitore non potrà essere obbligato a mantenere un figlio "sine die", ragione per la quale i figli hanno l'obbligo di fare quanto in loro potere, per diventare economicamente indipendenti.

Pertanto, se il mancato raggiungimento dell'indipendenza dipende da loro colpa, il genitore non sarà più tenuto a mantenerli.

Occorre anche considerare che l'indipendenza economica non coincide esclusivamente con il reperimento di un lavoro stabile e a tempo indeterminato ma, costituisce motivo per la riduzione o la revoca del diritto all'assegno di mantenimento anche la circostanza che il figlio abbia firmato un contratto di lavoro a termine, purché la durata non sia troppo breve e lo stipendio troppo basso.

Nel caso in cui il figlio perda il lavoro non sussiste la reviviscenza del diritto ad ottenere l'assegno, al massimo il diritto agli alimenti ove ne ricorrano le condizioni.

Perde altresì il diritto al mantenimento il figlio che abbia rifiutato un'offerta di lavoro.

La Suprema Corte di Cassazione, negli anni si è pronunciata valutando e decidendo secondo i casi. Ad esempio, per la Cassazione n. 407/2007, il figlio che abbia iniziato un periodo come apprendista conserva il diritto al mantenimento, salvo che si dimostri che il trattamento retributivo a lui riconosciuto è tale da assicurargli una remunerazione sufficiente e proporzionata ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione e comunque adeguata a provvedere al proprio mantenimento.

Ma sul punto esistono anche sentenze contrarie come ad esempio la sentenza della Cassazione civile n. 19696/2019, che ha ritenuto che il figlio possa considerarsi economicamente indipendente anche laddove percepisca un salario modesto.

Discorso diverso vale invece ove il figlio, inizialmente divenuto economicamente indipendente, abbia abbandonato il lavoro per intraprendere un percorso di studio.

In tal caso, secondo la giurisprudenza di legittimità, il genitore che può permetterselo dovrà provvedere al suo mantenimento (Cass. n. 23318/2021).

Grava sul genitore che richiede la riduzione o la revoca dell'assegno di mantenimento l'onere di fornire la prova dell'esistenza di un comportamento negligente del figlio rispetto al suo dovere di reperire un'occupazione.

Anche l'avanzare dell'età del figlio ha una sua rilevanza.

Raggiunta una certa età subentra una sorta di presunzione di colpa in capo al figlio non collocato nel mondo del lavoro.

Il Tribunale di Milano ha stabilito che un figlio che abbia raggiunto l'età di 34 anni e non sia ancora economicamente indipendente non deve più essere mantenuto (Trib. Milano ord. 29 marzo 2016).

Ed ancora, in caso di sopravvenuta riduzione del reddito dell'obbligato, quest'ultimo ha diritto a richiedere una riduzione dell'assegno dovuto ai figli ricorrendo al Tribunale competente.

Anche in questo caso, l'eventuale riduzione e/o la revoca dell'obbligo deve sempre essere disposta dal giudice, non sussistendo alcun automatismo.

Altro motivo ritenuto valido per la riduzione del mantenimento è il caso in cui nascono altri figli da una nuova relazione del genitore obbligato.

Ed infine anche l'emergenza sanitaria da Covid-19, ha avuto pesanti ripercussioni sull'attività lavorativa della popolazione, con conseguente contrazione del reddito, tanto che la giurisprudenza ha ritenuto in alcuni casi che una riduzione delle proprie capacità economiche a causa della pandemia,  sia motivo sufficiente per rivedere il quantum dell'assegno dovuto ai figli da parte del genitore non affidatario.

Inoltre, è pacifico che  affinché venga meno l'obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni.

Altra questione controversa in dottrina e in giurisprudenza è quella inerente il soggetto legittimato a far valere in giudizio il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento.

Esiste infatti la possibilità per il figlio maggiorenne ma non autonomo nel giudizio (di separazione o divorzio) pendente tra i genitori di far valere il proprio diritto al mantenimento, ma, sussiste anche la legittimazione del coniuge convivente ad agire iure proprio nei confronti dell'altro genitore, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio per richiedere il versamento dell'assegno. 

 

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