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Covid 19, sospensione attività distributori self service h24: non lede la libera iniziativa economica

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La sospensione dell'attività commerciale di negozio bar self service attraverso distributori automatici di alimenti e bevande confezionate h24 in locali liberamente accessibili, non lede il diritto costituzionalmente tutelato di libera iniziativa economica (art. 41 Cost.) in quanto concerne un interesse, di natura economica, a non perdere, per i giorni di sospensione della distribuzione, il relativo ricavo, la cui eventuale lesione sarà oggetto di accertamento da parte del giudice competente.

Questo è quanto ha statuito il Consiglio di Stato con decreto n. 2294 del 27 aprile 2020.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici amministrativi.

I fatti di causa.

Nel corso della cosiddetta fase 1 dell'epidemia COVID-19, sono state emanate dalle pubbliche autorità ordinanze di carattere restrittivo dirette a sospendere l'attività commerciale di negozio bar self service attraverso distributori automatici che vendono bevande e alimenti confezionati h24 in locali liberamente accessibili. Il ricorrente, titolare di tale tipo di attività, ha impugnato detti provvedimenti ritenendoli illegittimi in quanto adottati in violazione dell'art. 41 Cost., ossia in contrasto con il diritto costituzionale di libera iniziativa economica, e ne ha chiesto la sospensione. È accaduto che il Tar Calabria (decreto n. 270/2020) ha rigettato l'istanza cautelare. Secondo detta autorità giudiziaria, i provvedimenti impugnati sono legittimi in considerazione del fatto che: 

  • essi hanno come finalità «quella di scongiurare la possibilità di assembramenti fra le persone in qualsiasi forma possano essi concretizzarsi, in luoghi pubblici o aperti al pubblico;
  • l'attività commerciale di negozio bar self service attraverso distributori automatici che vendono bevande e alimenti confezionati per h 24 in locali liberamente accessibili, privi di misure strutturali di distanziamento fra le persone, non consente di evitare gli assembramenti predetti che sono di per sé occasione di contagio e possibile veicolo di diffusione del virus».

Alla luce di tali argomentazioni, ad avviso del Tar, pertanto, appare evidente che sussiste un conflitto di interessi pubblici e privati e che dal bilanciamento di tali interessi in gioco, occorre dare «preminente rilievo all'interesse pubblico alla tutela della salute collettiva».

Il caso è giunto dinanzi al Consiglio di Stato.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico di quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione del CdS.

I Giudici d'appello, innanzitutto, puntano l'attenzione sull'art. 41 Cost. invocato dal ricorrente. Questa disposizione stabilisce:

  • da un lato, che «l'iniziativa economica privata è libera»,
  • dall'altro, che detta iniziativa «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

Chiarito questo, tornando al caso in esame, secondo il Consiglio di Stato, le ordinanze in questione sono corrette perché impongono un divieto temporaneo di distribuzione automatica di prodotti giustificato dalla «necessità di prevenzione avverso la più grave forma di epidemia sanitaria che l'Italia abbia conosciuto dal dopoguerra».

Ne consegue che «ciò che effettivamente viene leso dai provvedimenti in oggetto - e spetterà al giudice competente valutare se l'atto lesivo sia o meno legittimo - è non certo il diritto costituzionalmente tutelato di libera iniziativa economica (art. 41 Cost.) ma l'interesse, di natura economica, a non perdere, per i giorni di sospensione della distribuzione, il relativo ricavo».

In forza delle argomentazioni sin qui svolte, pertanto, i Giudici d'appello, avendo escluso ogni pericolo di perdita definitiva di un bene della vita direttamente tutelato dalla Costituzione, hanno i) rigettato l'impugnazione del ricorrente e ii) confermato il decreto del Tar. 

 

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