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Contratto a termine: apposizione di termine finale scaduto, determina trasformazione a t.i.

La Corte di Cassazione con Sentenza n . 7033 del 2016 si è soffermata sul contratto a termine esprimendosi, nel caso considerato, nel senso del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Tale valutazione si è basata sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale, ormai scaduto.
La Suprema Corte ha più volte affermato ed in relazione al caso de quo ribadito che "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell´illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell´ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo"
La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, a dire dei Supremi Giudici, quindi, "è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso" mentre "grava sul datore di lavoro", che eccepisca tale risoluzione, "l´onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro"
Gli Ermellini in buona sostanza hanno confermato ulteriormente l’ indirizzo consolidato, basato sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all´uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, hanno ribadito di non poter condividere il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il "piano oggettivo" nel quadro di una presupposta valutazione sociale "tipica", prescinde del tutto dal presupposto che "la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale che in quanto tale, seppure tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo".
D´altra parte, hanno affermato, il mero decorso del tempo e la mera inerzia del lavoratore costituiscono un semplice fatto che, al di fuori delle ipotesi tipiche fissate dalla legge, di per sé è irrilevante
Né può essere sufficiente, ha ulteriormente chiosato la Corte, al fine della risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, la mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto stesso, tanto più che nel rapporto di lavoro possono anche intervenire numerose ipotesi di sospensione, previste dalla legge o derivanti dalla volontà delle parti.
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