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Contratti continuativi di cooperazione: nessun obbligo di dichiarazione all'atto di offerta di gara

Contratti continuativi di cooperazione: nessun obbligo di dichiarazione all'atto di offerta di gara

In materia di servizi pubblici, i contratti continuativi di cooperazione e i contratti di subappalto si differenziano funzionalmente tra loro. Ne consegue che all'atto di offerta di gara non si giustifica l'applicazione della norma che impone all'operatore economico di produrre i contratti continuativi di cooperazione esistenti. Né tale omissione costituisce una causa di esclusione dalla procedura di gara.

Questo ha statuito il Consiglio di Stato con sentenza n. 2962 del 12 aprile 2021.

Ma vediamo il caso sottoposto all'esame dei Giudici amministrativi.

I fatti di causa

L'appellante ha proposto appello contro la sentenza di primo grado con la quale il giudice ha interpretato la mancata dichiarazione in gara, da parte dell'aggiudicatario della procedura indetta dalla stessa appellante, dei contratti continuativi di cooperazione, come causa di esclusione. A suo dire tale interpretazione è erronea in quanto né la normativa generale di riferimento (l'art. 105, comma 3, Codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), né la lex specialis di gara:

  • sanciscono l'obbligo di corredare l'offerta con i contratti continuativi di cooperazione;
  • sanzionano con l'esclusione la mancata allegazione dei predetti contratti.

Con l'ovvia conseguenza che, secondo l'appellante, detta mancanza non costituirebbe causa di esclusione. Inoltre, sempre ad avviso dell'appellante, i contratti continuativi di cooperazione, diversamente dal subappalto, non hanno ad oggetto le prestazioni dell'appalto, ma quei beni e servizi dei quali l'appaltatore necessita per poter eseguire la prestazione oggetto del contratto. Ne discende che nella fase procedimentale di verifica dell'anomalia e di esame delle giustificazioni a tal fine presentate dall'offerente, non assume rilevanza la questione della qualificazione dei contratti di consulenza o collaborazione utilizzati dall'impresa.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito dal Consiglio di Stato. 

La decisione del CdS

Innanzitutto occorre far rilevare che dall''art. 105, comma 3, lett. c-bis), Codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (secondo cui «non si configurano come attività affidate in subappalto […] le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto») si evince che le prestazioni oggetto dei contrati continuativi di cooperazione sono rivolte a favore dell'operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico e non invece direttamente a favore di quest'ultimo come avviene nel caso del subappalto (cfr. Cons. di Stato, V, 27 dicembre 2018, n. 7256; si veda anche Cons. St., V, 22 aprile 2020, n. 2553) e sono caratterizzate da una certa specificità. Tali contratti si differenziano dai contratti di subappalto sia per la specificità delle prestazioni sia per i rapporti esistenti tra le parti del contratto stesso e con l'amministrazione appaltante. Nel caso del subappalto, il subappaltatore esegue direttamente parte delle prestazioni del contratto stipulato con l'amministrazione, sostituendosi all'affidatario; nel caso di contratti continuativi di cooperazione, le prestazioni sono rese in favore dell'aggiudicatario che le riceve, inserendole nell'organizzazione di impresa necessaria per adempiere alle obbligazioni contrattuali e le riutilizza inglobandole nella prestazione resa all'amministrazione appaltante. 

Tale distinzione tra le due figure di contratto non consente l'estensione analogica della norma di cui all'art. 105, comma 4, lett. c) Codice dei contratti pubblici, secondo cui «i soggetti affidatari dei contratti pubblici d'appalto possono affidare in subappalto le opere o i lavori, i servizi o le forniture compresi nel contratto, previa autorizzazione della stazione appaltante purché (…) all'atto dell'offerta siano stati indicati i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che si intende subappaltare». Un'estensione questa che non sarebbe possibile neanche ove il contratto di cooperazione fosse stipulato dopo l'indizione della gara, ma prima della stipula del contratto d'appalto, a meno che non venga dimostrato che il contratto continuativo di cooperazione costituisca solo uno schermo per il contratto di subappalto. Orbene, tornando al caso di specie, tale dimostrazione non risulta e pertanto l'aggiudicatario non aveva l'obbligo di dichiarare all'atto dell'offerta tali contratti continuativi; obbligo, questo, che sarebbe stato sussistente nell'ipotesi in cui i contratti fossero stati di subappalto. Un'estensione di tale obbligo anche ai contratti continuativi di cooperazione sarebbe inammissibile. Ne consegue che l'esclusione dalla procedura per la mancanza della dichiarazione di tali contratti – che, si ribadisce, sono diversi funzionalmente da quelli di subappalto – finirebbe per integrare una causa di esclusione non prevista dalla legge e quindi si porrebbe in contrasto col principio di tassatività cristallizzato nell'art. 83, comma 8, del Codice dei contratti pubblici.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Consiglio di Stato adito ha accolto l'appello, in riforma della sentenza impugnata. 

 

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