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Rosa: "Avvocati pensionati ancora iscritti, legittimo imporre un contributo di solidarietà"

Dopo la pubblicazione dell´ordinanza n. 254/2016, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale ordinario di Napoli in relazione al regolamento di Cassa Forense 05.09.2012 nella parte in cui prevedono in ragione delle aliquote del contributo soggettivo a carico dei pensionati di vecchiaia un maggiore contributo solidaristico di tale categoria rispetto a quello posto a carico degli avvocati non pensionati, qualcuno ha esultato perché la Corte Costituzionale avrebbe evidenziato la sostanziale delegificazione della materia, sottolineando l´autonomia e la discrezionalità delle Casse di previdenza dei professionisti nel loro esercizio della funzione previdenziale e assistenziale.
Nulla di più inesatto se l´ordinanza della Corte Costituzionale viene esaminata con attenzione.
Dottrina e giurisprudenza concordemente affermando il principio secondo il quale si ha delegificazione in senso tecnico allorché la legge, autorizzando l´esercizio della potestà regolamentare da parte di organi diversi al potere legislativo, determini le norme generali regolatrici della materia e disponga, essa legge, l´abrogazione delle normi vigenti, con effetto dall´entrata in vigore delle norme regolamentari.
Nel caso delle casse di previdenza dei professionisti si è verificata una sostanziale delegificazione affidata dalla legge all´autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti a essa imposti per la disciplina, tra l´altro, del rapporto contributivo, ferma restando tuttavia, l´obbligatorietà della contribuzione e del rapporto previdenziale conseguente le prestazioni a carico degli stessi enti.
Al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie, tuttavia, gli atti di delegificazione adottati dalle casse di previdenza dei professionisti, entro i limiti della propria autonomia, sono soggetti, altresì, a limiti costituzionali (si veda, per tutte, Cassazione n. 11792 del 07.06.2005 e, ivi, ampi richiami di giurisprudenza delle Corte Costituzionale).
Coerentemente il sindacato giurisdizionale su tali atti di delegificazione ne investe il rispetto, da un lato, dei limiti imposti all´autonomia degli enti, dal quale dipende la loro idoneità a realizzare l´effetto perseguito, di abrogare, appunto, o derogare disposizioni di legge (si veda Corte Costituzionale 01.12.2006, n. 401) e, dall´altro, dei limiti costituzionali, in funzione dell´eventuale caducazione degli atti medesimi (artt. 1418 e 1324 c.c.) per contrasto con norme imperative (si veda Cassazione n. 15135/2004).
Lo stesso sindacato giurisdizionale, circa il rispetto dei limiti imposti all´autonomia degli enti, appunto, e dei limiti costituzionali, investe anche gli atti di delegificazione, posti in essere dagli enti sulla base della legislazione successiva (si veda Cassazione, sezione lavoro, 17.11.2009, n. 24202).
Non è quindi vero che alla delegificazione della materia possa dirsi esaltata l´autonomia normativa delle casse di previdenza dei liberi professionisti e la discrezionalità che ne caratterizza il relativo esercizio perché, come detto più sopra, anche gli atti di delegificazione sono soggetti al controllo di legittimità della Corte Costituzionale.
Vero è piuttosto che la Corte Costituzionale con l´ordinanza n. 254/2016 ha fissato i paletti del vaglio di costituzionalità dei regolamenti conseguenti alla delegificazione.
Ha affermato la Corte Costituzionale nell´ordinanza citata che "secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vaglio di costituzionalità delle disposizioni di atti regolamentari è ammissibile solo quando essi costituiscano specificazione delle disposizioni di legge (sentenze n. 456 del 1994 e n. 1104 del 1988), nonché, in applicazione dello stesso principio, ma in senso negativo, nei casi risolti, sentenza n. 162 del 2008 e ordinanza n. 389 del 2004, pronunce richiamate dalla sentenza n. 354 del 2008".
Nel caso di specie la Corte Costituzionale ha ritenuto che i regolamenti portati all´esame delle Corte sono riconducibili a un processo di privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che si inserisce nel contesto del complessivo riordinamento della soppressione di enti previdenziali, in corrispondenza a una direttiva più generale volta a eliminare duplicazioni organizzative e funzionali nell´ambito della Pubblica Amministrazione.
Per la Corte Costituzionale questo assetto è stato realizzato attraverso una sostanziale delegificazione nella materia.
La Corte Costituzionale ha precisato che "la giurisdizione del giudice costituzionale è limitata alla cognizione dell´illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, ai sensi dell´art. 134 Costituzione e non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di delegificazione".
Ma ha poi precisato che "con riferimento alle fonti di valore regolamentare adottate in sede di delegificazione, la garanzia costituzionale è normalmente da ricercare, volta a volta, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all´adozione del regolamento, ove il vizio sia a essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali, o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono; o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell´ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso".
Nel caso di specie si discuteva se fosse legittimo elevare solo l´aliquota del contributo solidaristico gravante sui pensionati di vecchiaia prima del 4%, poi al 5% e infine al 7%, lasciando, invece, invariata l´aliquota del 3%, destinata a determinare la misura del contributo dovuto dagli avvocati non pensionati.
In tale ipotesi la Corte Costituzionale, data l´insindacabilità dell´atto regolamentare ai sensi dell´art. 134 Costituzione, nonché l´insussistenza di uno specifico collegamento con la legge, ha dichiarato la questione manifestamente inammissibile perché le censure articolate dal remittente investivano in realtà soltanto il contenuto del regolamento.
 
Per parte mia ho sempre sostenuto la legittimità di un diverso trattamento contributivo a carico dell´avvocato non pensionato e dell´avvocato pensionato che continui ad esercitare la libera professione sul presupposto per il quale, vigendo il criterio di calcolo retributivo della pensione nella stragrande maggioranza dei casi l´avvocato pensionato riceve più del montante contributivo versato e quindi nella costanza dell´attività professionale, nonostante il pensionamento, è legittima l´imposizione di un contributo solidaristico che potrà, ovviamente, bypassare cancellandosi dall´Albo.
Avv. Paolo Rosa

 

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