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Cassa forense: cancellazione per incompatibilità, no a restituzione dei contributi integrativi

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Iscrizione all'albo e incompatibilità: la restituzione dei contributi non si estende a quelli integrativi

L'obbligo contributivo viene meno in caso in cui sia accertata una situazione di incompatibilità con l'esercizio della professione forense. E ciò in considerazione del fatto che il venir meno dell'iscrizione all'Albo degli avvocati giustifica la declaratoria di inesistenza di un rapporto previdenziale legittimo con la Cassa forense. L'obbligo in questione non sussiste più anche se la situazione di incompatibilità non sia stata accertata e perseguita sul piano disciplinare dal Consiglio dell'Ordine competente, di talché al soggetto illegittimamente iscritto spetterà la restituzione dei contributi versati, secondo la disciplina dall'art. 2033 c.c. (Cass. n. 15109/2005, richiamata da Cass. n. 30571/2019).

Il rimborso, tuttavia, riguarderà solo i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi, «dovendosi dare rilievo alla mancata previsione del diritto alla restituzione di detti contributi, in coerenza con la funzione solidaristica degli stessi» (Cass. n. 10458/1998, richiamata da Cass. n. 30571/2019).

Ma vediamo perché.

Il quadro normativo e il vincolo solidaristico

La sentenza della Corte di Cassazione n. 30571/2019 ha ricostruito il quadro normativo su cui trova fondamento tale tipo di rimborso. 

In particolare, i Giudici di legittimità partono dall'esame dell'art. 11 Legge n. 576/1980, secondo cui:

  • l'obbligo del contributo integrativo incombe su tutti gli iscritti agli Albi di avvocato, nonché sui praticanti procuratori iscritti alla Cassa, che devono applicare una maggiorazione percentuale (oggi del 4%) su tutti i corrispettivi che sono percepiti in ragione della professione forense;
  • detto contributo va versato alla Cassa forense anche dai pensionati che restano iscritti all'Albo dei procuratori o degli avvocati o all'Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori;
  • l'obbligo del contributo minimo è escluso dall'anno solare successivo alla maturazione del diritto a pensione;
  • il contributo integrativo non è soggetto all'IRPEF né all'IVA e non concorre alla formazione del reddito professionale.

Cosa accade nel caso in cui un avvocato svolge l'attività professionale, versando in una situazione di incompatibilità?

La Suprema Corte di cassazione rileva che, in forza dell'art. 3, comma 2, Legge n. 319/1975, se il professionista svolge la sua attività versando in una situazione di incompatibilità di cui all'art. 3, R.D.L. n. 1578/1933, anche ove tale incompatibilità non sia stata oggetto di accertamento da parte del Consiglio dell'Ordine, non consentirebbe l'iscrizione alla Cassa e quindi precluderebbe l'accesso a qualsiasi trattamento previdenziale forense per il periodo di tempo in cui l'attività medesima sia stata svolta.  

Tuttavia, se, nel contempo, l'attività professionale sia stata legittimamente esercitata in virtù dell'iscrizione all'Albo, il contributo integrativo, ad avviso dei Giudici di legittimità, andrebbe versato alla Cassa forense. E ciò in considerazione del fatto che la riscossione di detto contributo da parte dell'ente previdenziale in esame è legittimata dall'esercizio della professione consentito dall'iscrizione all'Albo. Con l'ovvia conseguenza che il mancato rimborso da parte della Cassa non integra la fattispecie di ingiustificato arricchimento di cui all'art. 2033 c.c.

Il fatto che in tali casi non si debba procedere al rimborso costituisce una soluzione supportata anche:

  • dall'art. 22 della Legge su richiamata n. 576/1980, secondo cui «coloro che cessano dall'iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, hanno solamente il diritto di ottenere il rimborso dei contributi soggettivi, nonché degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione, ma non dei contributi integrativi;
  • dalla finalità specifica dei contributi integrativi, esclusivamente diretti al finanziamento della previdenza di categoria ed espressione di un dovere di solidarietà nell'ambito della categoria professionale» (Cass. n. 10458/1998).

Un dovere, questo, che non può venir meno retroattivamente con la cancellazione dall'albo e quindi dalla Cassa forense. «La restituzione di un contributo pagato al solo fine di solidarietà, infatti, ne snaturerebbe il contenuto e, impedendo l'attuazione del principio solidaristico costituzionalmente garantito (art. 2 Cost.), sarebbe pure contrario ai principi costituzionali, poiché il fine solidaristico che caratterizza la previdenza forense non viene meno per effetto della cancellazione dell'iscritto». 

 

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