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Avvocato, frasi offensive rivolte al collega: irrilevanza penale non esclude illecito disciplinare

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L'avvocato deve sempre mantenere un contegno decorso, nel rispetto della dignità professionale. Ne consegue che se un professionista commette un illecito deontologico in violazione della dignità e del decoro professionale, come ad esempio nel caso pronunci frasi ingiuriose nei confronti di un collega all'interno di un ufficio del Tribunale, se tale illecito ha rilevanza anche penale, il fatto che tale rilevanza venga meno, non esclude la responsabilità disciplinare dell'avvocato. E ciò in quanto il dovere deontologico di dignità e decoro va rispettato a prescindere dall'esistenza di disposizioni civili e penali.

Questo è stato ribadito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 20383 del 16 luglio 2021 (http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/).

Ma analizziamo nel dettaglio la questione.

I fatti di causa

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, un avvocato è stato destinatario della sanzione della censura per aver pronunciato frasi offensive e ingiuriose nei confronti di un collega all'interno di un ufficio del Tribunale (l'ufficio decreti ingiuntivi), in occasione della richiesta di rilascio di copia di un atto giudiziario e alla presenza di altri avvocati, oltre che del personale amministrativo dell'ufficio stesso. 

Il contegno dell'incolpato è stato ritenuto in violazione dei suddetti doveri deontologici, indipendentemente dal proscioglimento dello stesso professionista per l'intervenuta abrogazione del delitto di ingiuria ex art.594 c.p., per cui, nel frattempo, era stato accusato.

La decisione della SC

I Giudici di legittimità fanno rilevare che, sebbene la condotta dell'incolpato sia stata posta in essere in un ambito non strettamente processuale, ciò che conta è la natura professionale del contesto di consumazione dell'illecito e proprio tale natura non può escludere la rilevanza deontologica della predetta condotta. E ciò in considerazione del fatto che la responsabilità disciplinare dell'avvocato, in riferimento ai valori deontologici di dignità, decoro, reputazione professionale, correttezza e lealtà nei rapporti con i colleghi, sussiste anche in ambito diverso da quello strettamente processuale e a prescindere dall'esercizio del suo ministero (Cass.SSUU n. 4994/18). Ciò premesso e tornando al caso di specie, occorre far rilevare che la valutazione di offensività e ingiuriosità delle frasi e del contegno assunto dall'incolpato nei riguardi di un collega non avrebbe potuto che implicare la positiva affermazione della violazione dei suddetti doveri deontologici. Né l'illecito in questione avrebbe potuto essere valutato diversamente, sebbene l'avvocato accusato anche del reato di ingiuria, per quest'ultimo illecito fosse stato prosciolto per la sopravvenuta irrilevanza penale del fatto in conseguenza dell'abrogazione del delitto ex art. 594 c.p. 

E ciò in considerazione:

  • dell'autonomia delle rispettive sfere di responsabilità;
  • del fatto che l'ordinamento professionale pone a carico dell'avvocato un dovere deontologico di dignità, decoro e continenza anche indipendentemente dalle disposizioni civili e penali.

A parere della Suprema Corte, pertanto, è stata corretta la decisione del Consiglio nazionale forense impugnata. D'altro canto, la sindacabilità dei Giudici di legittimità sarebbe stata possibile solo nel caso in cui la decisione impugnata fosse stata viziata da eccesso di potere o da violazione di legge, cioè fosse stata affetta da un vizio per cui l'art. 36 della Legge n. 247 del 2012 consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione per censurare un uso del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la legge lo riconosce. E ciò in considerazione del fatto che il codice deontologico forense non ha carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa (Cass.SSUU nn.15873/13; 13168/21). Nel caso di specie, tale vizio non sussiste.

Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte, pertanto, i Giudici di legittimità hanno confermato la decisione del CNF.

 

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