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Studente-lavoratore: sì a permessi retribuiti per seguire lezioni e sostenere esami, se non fuori corso

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Gli studenti-lavoratori hanno diritto a ottenere permessi retribuiti anche per la frequenza di corsi e non solo per sostenere gli esami. Tuttavia, con riferimento alla "frequenza" di corsi di studio universitari, tale diritto è limitato agli studenti in corso regolare. E ciò al fine di evitare che il diritto allo studio, senza un numero delimitato di anni, possa comprimere eccessivamente il diritto del datore di lavoro alla prestazione.

Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 19610 del 18 settembre 2020.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il ricorrente è uno studente-lavoratore. Egli ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del diritto di usufruire dei permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio, anche oltre la durata prevista del relativo corso di studi. È accaduto che sia in primo che in secondo grado, i Giudici di merito hanno respinto la domanda del lavoratore, 

  • escludendo che l'art. 28 del CCNL Federcasa 2002-2005, applicabile al caso di specie, riconoscesse permessi studio retribuiti anche ai lavoratori studenti cd. "fuori corso";
  • ritenendo che «la concessione dei permessi fosse limitata al solo periodo di frequenza nell'ambito degli anni di durata legale del corso di studi».

Così il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione della SC

Innanzitutto appare opportuno richiamare la normativa applicabile alla fattispecie in esame, ossia l'art. 10, Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) e l'art. 28 del CCNL Federcasa 2002-2005. La prima delle due norme citate, al comma 2, «prevede il diritto dei lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esami, di fruire di permessi giornalieri retribuiti». La seconda disposizione, a integrazione migliorativa della prima, attribuisce tale diritto anche per la frequenza di corsi e non solo per sostenere gli esami. La ratio del riconoscimento del diritto in questione si rinviene nel fatto che si vuole consentire agli studenti lavoratori la possibilità di ottenere titoli riconosciuti dall'ordinamento giuridico statale, senza remore di carattere economico, evitando che il conseguimento di tali titoli sia esclusiva prerogativa dei soli studenti non lavoratori (Cass. 52/1985, con riguardo ai chiarimenti relativi all'art. 10, Statuto dei lavoratori). Il diritto in oggetto di fruire permessi, tuttavia, incontra dei limiti. In buona sostanza, sussiste:

  • un numero massimo di ore individuali per anno (150), superato il quale non può essere più formulata richiesta di permessi;
  • un numero massimo di dipendenti che possano fruire dei permessi, numero, questo, che in percentuale è espresso nel 3% del totale delle unità in servizio ogni anno, con arrotondamento all'unità superiore per eccesso;
  • un criterio di scelta tra gli studenti lavoratori ove il limite del 3% venga superato dalle richieste pervenute, ossia lo studente-lavoratore deve essere studente in corso regolare.

In pratica, i Giudici di legittimità, condividendo quanto statuito nei gradi di giudizio precedenti, ritengono che per individuare i beneficiari in caso di concorso di richieste che superino il limite annuale, bisogna aver riguardo dell'anno di frequenza, «postulando necessariamente il riferimento agli studenti in corso regolare». E ciò in considerazione del fatto che «la norma dell'art. 28 si riferisce alla "frequenza" di corsi di studio universitari, attività chiaramente riservata a un numero delimitato di anni, quelli coincidenti con il corso legale di studi». Secondo la Suprema Corte, inoltre, «ove lo svolgimento di attività didattiche preordinate alla preparazione degli esami fosse stato considerato fungibile alla frequentazione delle lezioni per gli anni in corso regolare, la norma sarebbe stata formulata diversamente».

Il limite su menzionato, secondo i Giudici di legittimità, è finalizzato a garantire il diritto allo studio dello studente-lavoratore senza compressione eccessiva del diritto del datore di lavoro alla prestazione.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dello studente-lavoratore e ha confermato la sentenza impugnata. 

 

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