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Violazione durata ragionevole del processo civile: quando è ammessa l'equa riparazione?

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Inquadramento normativo: Legge n. 89/2001

L'equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo: Il processo, compreso quello civile, deve avere una ragionevole durata ai sensi dell'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi al mancato rispetto del termine ragionevole su menzionato. Chi, pur avendo esperito detti rimedi, abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto a una equa riparazione.

Quando è rispettato il termine di durata ragionevole del processo? Il termine di ragionevole durata è rispettato quando:

  • «il processo civile non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Ai fini del computo della durata il processo, questo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell'atto di citazione»;
  • il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni,
  • la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni;
  • il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni.

«Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l'impugnazione e la proposizione della stessa».

I rimedi preventivi alla violazione dell'art. 6 della Convenzione Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: Nel processo civile, costituisce rimedio preventivo al mancato rispetto della durata ragionevole:

  • l'introduzione del giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti c.p.c.;
  • la richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario a norma dell'art. 183 bis c.p.c., entro l'udienza di trattazione e comunque almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole di durata su menzionati;
  • nei casi in cui non trova applicazione il rito sommario di cognizione, l'istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell'art. 281 sexies c.p.c. presentata almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole durata innanzi citati;
  • nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, nei casi in cui esse possono essere decise a seguito di trattazione orale, a norma dell'art. 281 sexies c.p.c., la rimessione da parte del giudice della causa al collegio e la fissazione dell'udienza collegiale per la precisazione delle conclusioni e per la discussione orale.  

Ove la parte non abbia esperito i rimedi preventivi, non potrà proporre la domanda di equa riparazione. In caso di proposizione, detta domanda sarà dichiarata inammissibile.

L'equa riparazione e il risarcimento del danno: Nel giudizio instaurato per l'accertamento della violazione della ragionevole durata del processo, il giudice valuta non solo la complessità del caso, l'oggetto del giudizio, ma anche il comportamento processuale delle parti, del giudice e di ogni altro soggetto che è stato convocato in giudizio o abbia contribuito alla definizione di quest'ultimo. Con l'ovvia conseguenza che non avrà diritto all'equa riparazione la parte che:

  • ha agito o resistito in giudizio nonostante la consapevolezza dell'infondatezza delle sue domande o difese;
  • in caso di accoglimento della domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, «ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta»;
  • ha rifiutato la proposta conciliativa, nel caso in cui il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta stessa;
  • ha abusato dei poteri processuali, determinando una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento.

Si presume che sia stata violata la ragionevole durata del processo, salvo prova contraria, in caso di:

  • «contumacia della parte;
  • estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti;
  • irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte.

Si presume parimenti insussistente il danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell'indennizzo altrimenti dovuto». 

L'equa riparazione e il danno non patrimoniale: Conseguenza normale, sebbene non automatica, della violazione della ragionevole durata del processo è il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico (Cass. civ., n. 7034/2020). Tale danno non si configura come un danno "in re ipsa", ossia un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione in questione. Infatti, «una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente», sempre che non sussistano circostanze particolari che facciano escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (cfr. Cass., n. 25730/2011, richiamata da Cass. civ., n. 7034/2020). Il danno non patrimoniale, in tema di equa riparazione, è riconosciuto anche alle persone giuridiche, «a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche» (Cass. civ., n. 7034/2020).

Come si determina la misura dell'indennizzo a titolo di equa riparazione? La determinazione dell'indennizzo a titolo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito. Nella determinazione, il giudice tiene conto dei parametri indicati all'uopo dalla legge. In buona sostanza, verrà liquidato un indennizzo non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. Tale importo andrà incrementato fino:

  • al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo;
  • al 20 per cento per ciascun ricorso riunito, in caso di riunione di più giudizi presupposti e quando la riunione è disposta su istanza di parte.

Andrà, invece, diminuito:

  • fino al 20 per cento quando le parti del processo presupposto sono più di dieci e fino al 40 per cento quando le parti del processo sono più di cinquanta;
  • fino a un terzo in caso di integrale rigetto delle richieste della parte ricorrente nel procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce.

In ogni caso l'importo liquidato non potrà superare il valore della causa o, se inferiore, quello del diritto accertato dal giudice. «Nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, il giudice può scendere al di sotto del livello di "soglia minima" soltanto là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l'accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto» (Cass., n. 12937/2012; Cass., n. 15268/2011, richiamate da Cass. civ., n. 974/2020). 

 

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