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Marito alla moglie: "Mi hai sposato per interesse!", SC: "Lei diffamata, condanna legittima"

Pronunciare la frase: " la moglie lo ha sposato per i soldi" integra perfettamente il reato di diffamazione.
Si è pronunciata così, la sezione Penale della Cassazione con sentenza n. 31434/2017, confermando la sentenza di condanna di un uomo che, in occasione di un incontro fra parenti, si lasciava andare a pettegolezzi di questa portata.
La donna oggetto della chiacchiera, come incoscientemente asseriva l´imputato, conoscendo le condizioni di salute dell´uomo, ormai in fase terminale, lo aveva sposato col l´unico interesse di acquisire lo status di vedova.
Condannato sia in primo che in secondo grado, nei palazzi di Locri, l´uomo ricorreva in Cassazione.
La difesa dell´imputato contemplava diversi motivi di gravame.
Il vizio di motivazione, poiché la Corte d´Appello aveva giudicato integrato il delitto di diffamazione, senza spiegare perché l´ espressione sarebbe stata offensiva, e perché, invece, non aveva riconosciuto in capo all´ imputato, il diritto di critica.
E ancora, il giudice del merito non avrebbe setacciato a dovere, le dichiarazioni accusatorie, sorvolando sul fatto che l´imputato aveva dimostrato la sua assenza all´ incontro con gli altri parenti, il giorno dell´accaduto. Eccezione, questa smentita dalla SC, sulla base dell´erronea indicazione, nella querela sporta dalle parenti, della data dell´avvenimento.
Il difensore dell´imputato e il Pubblico Ministero, poi, sostenendo che l´espressione sotto accusa, fosse sì lesiva della sensibilità personale, ma non obbiettiva, non sarebbe stata idoneità a integrare il delitto di diffamazione.
Veniamo alla posizione della Cassazione.
La frase pronunciata dall´ uomo, volta a rimarcare la strumentalizzazione, ad opera della donna, del matrimonio, per ereditarne i beni, e quindi che la stessa fosse stata spinta da nessun altro motivo se non lo scopo di lucro, ledeva non solo il suo personale amor proprio, ma sopra ogni cosa, la sua dignità e la considerazione che la comunità in cui era inserita, aveva di lei.
attribuire ad una persona, una simile intenzione e volontà, " è contrario al comune sentire e ai canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati".
A ciò la Corte ha aggiunto la riflessione circa il valore che ha il matrimonio sotto gli aspetti religioso, culturale, sociale e morale, nell´ opinione dei cittadini italiani, nonché la consacrazione dello stesso, in Costituzione, quale fondamento della società naturale che è la famiglia, di cui la Repubblica garantisce e tutela i diritti.
Alla Suprema Corte, non è rimasto che confermare la sentenza emessa in fase di merito. Rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali, asserendo che, l´espressione usata dall´ uomo, contenendo una potenza lesiva della reputazione della donna, tale da esporre la dignità personale della stessa, a dubbi e critiche da parte dei consociati, ha integrato il reato di cui all´ articolo 595 del Codice Penale.
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.
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