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La sindrome da alienazione genitoriale

La sindrome da alienazione genitoriale

 La sindrome da alienazione genitoriale consiste in quei comportamenti che un genitore compie verso il figlio tali da far sì che nel tempo quest'ultimo si allontani dall'altra figura genitoriale fino a giungere a rifiutarlo del tutto.

Inizialmente descritta come sindrome (PAS è l'acronimo di Parental Alienation Syndrome) dallo psichiatra americano Richard A. Gardner, che la definisce come:

«Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l'altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di "lavaggio del cervello" o "programmazione", poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile»

Si tratta effettivamente di condotte quali ad esempio: l'esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l'altro genitore; usareespressioni denigratorie; false accuse di trascuratezza, violenza o abuso ed altro ancora.

Il figlio, quindi, nel tempo si allontana dal genitore considerato "cattivo" e nei casi più gravi comincia a rifiutare qualsiasi contatto anche solo telefonico.

Numerose le sentenze intervenute in tema di alienazione genitoriale. 

 Secondo il Tribunale di Milano, il fenomeno sopra descritto, per la prevalente dottrina scientifica e per la giurisprudenza, non integra una patologia clinicamente accertabile, ma un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l'altra figura genitoriale.

Il caso trattato dal Tribunale, riguardava il deposito di un ricorso ex art. 709 ter c.p.c. da parte di una madre che dopo la prima regolamentazione del tribunale sul diritto di frequentazione del padre con la figlia nata da una convivenza di fatto, segnalava il disinteresse del padre come causa dell'allontanamento della figlia minore.

Il tribunale disponeva pertanto, l'affidamento della minore al Comune, limitando la responsabilità genitoriale delle parti ma lasciando il collocamento presso la madre.

Il giudizio proseguiva con una CTU per l'esame diretto della bambina.

Dalla perizia risultava che la minore aderiva in maniera totale alla versione dei fatti narrati dalla madre, finendo per distorcere anche la realtà. In conclusione, la CTU riteneva che senza l'avallo della madre, la figlia non avrebbe potuto costruire una relazione buona con il padre, verso cui la madre manifestava solo sentimenti negativi.

Si ipotizzava, inoltre, un diverso collocamento: presso il padre oppure in affido etero familiare, per consentire almeno un parziale recupero della relazione padre-figlia.

In conclusione però, l'affido esclusivo al padre non fu concesso a causa della fragilità emotiva della figlia ed anche per il disagio manifestato verso il padre.

Il provvedimento concludeva sanzionando inoltre il genitore alienante perché la madre che agisce in giudizio contro il padre per questioni relative ai figli e risulti poi essere l'autrice di comportamenti alienanti, propone una azione che è da ritenere processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 c.p.c..

Ancora, sul fenomeno PAS interveniva con la sentenza del 20 marzo 2013, n. 7041, la Corte di Cassazione, che pur non negando espressamente l'esistenza del fenomeno, affermava che la tutela del minore deve assumere sempre valore primario e l'astratta presenza del disagio non può essere posta, in maniera automatica, a fondamento di un provvedimento di affidamento o di decadenza dalla potestà, essendo necessaria una scelta giudiziale ponderata e verificata.

 Tuttavia, con un'altra sentenza dello stesso anno (Cass. Civ. 8 marzo 2013, n. 5847) la Cassazione riconosceva l' esistenza della PAS, confermando la decisione assunta dal giudice territoriale che, riformando la sentenza di primo grado, aveva disposto l'affidamento esclusivo alla madre a causa dei comportamenti ostruzionistici del padre, risultanti da una relazione psichiatrica, volti a demolire la figura della madre, costretta a subire l'allontanamento ingiustificato dei figli.

Un nuovo cambio di rotta si è avuto con la sentenza della Cassazione n. 6919 dell' 8 aprile 2016, in cui la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.

Di recente la Cassazione Civile con ordinanza del 13 settembre 2017, n. 21215, ha specificato che nelle decisioni inerenti l'affidamento dei figli minori, in presenza di fatti riconducibili alla così detta Sindrome da alienazione parentale (PAS), non spetta al giudice valutare la ricorrenza o meno di una patologia del minore, ma è sufficiente verificare che la condotta di un genitore sia finalizzata alla svalutazione e denigrazione dell'altra figura genitoriale.

Il caso esaminato proviene dalla Corte d'Appello di Napoli che aveva confermato la sentenza di primo grado.

La minore, osservata mediante CTU svoltasi in primo grado, risultava essere manipolata dalla madre, manifestando verso il padre sentimenti non reali poiché influenzati da quelli della madre verso l'ex coniuge.

Il Tribunale aveva disposto l'affidamento della minore alla zia paterna per la durata di sei mesi, disciplinando gli incontri dei genitori con la bambina e ponendo a loro carico il versamento della somma per il suo mantenimento.

Con la sentenza d'appello, al termine del semestre presso la zia, la Corte ha affidato la figlia minore in via esclusiva al padre, disciplinando le modalità degli incontri protetti, da svolgersi presso i Servizi Sociali, della figlia con la madre.

La madre ricorre in Cassazione, dove sono respinti entrambi i motivi di ricorso perché inammissibili.

Ladifesa della ricorrente si basava, su censure ritenute incompatibili con il giudizio di legittimità e contraddittorie rispetto al contegno processuale tenuto nei precedenti gradi di giudizio.

La consulenza tecnica aveva accertato che bambina che, in presenza della madre, si disperava dicendo di non voler andare con il padre, non appena questa si allontanava, si rasserenava, confortata dall'affettuosità paterna.

Era, dunque, evidente che la piccola non esprimesse mai un proprio reale bisogno, ma solo il piacere di compiacere la madre. La diagnosi di PAS era già stata formulata dal CTU e la ricorrente non aveva dato prova di averla puntualmente contestata.

Inoltre, l'allegazione nel ricorso per cassazione, di un mero dissenso scientifico, che non comporta un vizio nel processo logico della sentenza, si traduce in un'inammissibile domanda di revisione nel merito del convincimento del giudice ( Cass. Civ. sez. I 9.1.2009, n. 282).

In particolare, la donna aveva contestato che la Corte d'Appello avesse pronunciato la propria decisione fondandosi su una diagnosi di "PAS", patologia di cui risulta indimostrata l'attendibilità scientifica.

La Cassazione afferma che non è da valutare la ricorrenza o meno di una patologia, ma l'adeguatezza di una madre a svolgere il proprio ruolo nei confronti di una figlia minore.

 

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