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Effetti del conflitto di interessi tra condòmino e condomìnio sulla delibera assembleare

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Riferimenti normativi: Artt.1137-2373-2377 c.c.

Focus: All'interno del condomìnio può configurarsi un conflitto di interessi tra il condomìnio ed i condòmini che hanno interessi personali divergenti con il condomìnio. In tal caso il conflitto di interessi tra condòmini può inficiare la validità della delibera condominiale?

Principi generali: Si ha conflitto di interessi quando un singolo condòmino ha un interesse proprio che contrasta con quelli generali del condomìnio. In forza di tale contrasto tra interessi antagonisti il voto del singolo condòmino in conflitto, espresso a suo vantaggio personale, si trova ad essere in contrasto con l'interesse condominiale. Il condòmino in conflitto di interessi dovrebbe, pertanto, astenersi o essere escluso dal voto su quel determinato punto. È in ogni caso l'assemblea che deve valutare in concreto, caso per caso, se l'interesse comune risulta compromesso dall'interesse egoistico del singolo. In ambito condominiale il conflitto di interessi è disciplinato, per analogia con il diritto societario, dall'art.2373 c.c. La norma, nella sua attuale formulazione, stabilisce al primo comma che: "La deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile, a norma dell'articolo 2377, qualora possa recarle danno". Quindi, se uno dei condòmini che ha espresso il proprio voto in assemblea è in conflitto di interessi, la delibera è annullabile ex art. 1137 c.c. 

Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, la deliberazione assembleare, approvata con il voto decisivo dei condòmini in conflitto di interessi, potrà essere considerata invalida solo qualora risulti dimostrata una chiara divergenza tra l'interesse del condomìnio e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti che, non essendosi astenuti, hanno contribuito con il loro voto alla formazione della maggioranza assembleare (Cass. civ., sez. VI n.1853 del 25/01/2018). Tale orientamento è confermato dall'Ordinanza n.25680/2020 della Corte di Cassazione. Nel caso di specie, la Corte d'appello, rigettando l'appello proposto da un condòmino, ha confermato la decisione del Tribunale che aveva rigettato l'impugnazione della deliberazione assembleare del 2013 in merito al terzo punto all'ordine del giorno, ovvero alla "ratifica" della precedente delibera del 2009. Il condòmino appellante riteneva che essendovi un conflitto di interessi di tre condòmini rispetto al condomìnio (conflitto già negato dal Tribunale, essendo l'interesse di tali condòmini finalizzato al rifacimento del tetto comune e perciò coincidente con l'interesse condominiale), l'iniziale delibera del 2009 non poteva essere ratificata e, quindi, era nulla.Secondo la Corte d'appello, invece, la delibera del 2009 poteva considerarsi annullabile in quanto era ratificabile dalla delibera del 2013. Quest'ultima aveva sanato la delibera precedente, compresa anche l'omessa convocazione del condòmino ricorrente alla pregressa assemblea del 2009. Il condòmino aveva impugnato la sentenza con ricorso in Cassazione deducendo tra i motivi di ricorso la violazione dell'art.2373 c.c. ed evidenziando come la deliberazione assembleare del 2013 fosse stata approvata con il voto favorevole dei tre condòmini in conflitto di interessi sull'argomento trattato. Essendo in conflitto di interessi questi ultimi, invece, avrebbero dovuto essere esclusi dalla votazione. Ciò avrebbe determinato il mancato raggiungimento delle necessarie maggioranze assembleari con conseguente annullamento della delibera del 2013 e di quella del 2009, ratificata da quella più recente, con la quale era stato disposto il rifacimento di una porzione del tetto condominiale.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del "quorum" costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto. Sulla base dell'applicazione analogica dell'art. 2373 c.c., nel nuovo testo della disposizione è venuta meno la distinzione, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell'assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si è affermato unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile, a norma dell'art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno. L'invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condòmini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione. Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condòmini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell'interesse condominiale all'utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell'edificio. In ogni caso, il sindacato del giudice sulle delibere condominiali deve pur sempre limitarsi al riscontro della legittimità di esse e non può estendersi alla valutazione del merito, ovvero dell'opportunità, ed al controllo del potere discrezionale che l'assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei partecipanti (Cass. Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199). Nel caso in esame, era stato escluso dai giudici di merito che l'assemblea avesse perseguito interessi incompatibili con l'interesse collettivo alla buona gestione dell'amministrazione, approvando con la delibera del 2013 il rifacimento del tetto comune supportata dal voto dei condòmini in conflitto di interessi. Pertanto, alla luce di tali considerazioni la Corte Suprema ha rigettato il ricorso. 

 

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