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Danno esistenziale per assenza del padre

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Nell'ambito dei rapporti familiari e precisamente nelle separazioni esisti negativi si ripercuotono sui figli. La Suprema Corte esclude però che l'assenza in sé del padre possa determinare delle turbative al figlio. Segnatamente con ordinanza n. 17164/19 essa ritiene che un padre che non sia presente nella relazione con proprio figlio sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista materiale non determina un danno automatico: il danno esistenziale non può essere considerato in re ipsa,ma, l'inferenza del comportamento del padre sul figlio va dimostrata sotto i canoni di cui all'art. 2697 c.c. In tal senso deve essere provato lo sconvolgimento sulla psiche del figlio e il brusco cambiamento dello stile di vita. Nel caso in questione un figlio aveva convenuto in giudizio il padre per ottenere il pagamento degli assegni di mantenimento e per vedersi riconosciuto il danno esistenziale poiché il padre era stato assente nella propria vita.  

Le istanze venivano accolte dal Tribunale e il padre presentava appello avverso la suddetta pronuncia; otteneva così l'accoglimento parziale delle proprie rimostranze, in particolar modo sul disconoscimento del danno esistenziale e sulla riduzione dell'assegno di mantenimento. Presentava il figlio ricorso per cassazione con il quale lamentava in prima battuta una motivazione quasi inesistente nelle argomentazioni della Corte d'Appello circa la riduzione dell'assegno di mantenimento: invero le argomentazioni apparivano parecchio riduttive. Censurava poi la falsa applicazione e la violazione degli artt. 147 e 148 nel momento in cui la determinazione dell'assegno di mantenimento non seguiva le reali capacità patrimoniali dell'obbligato: evidenziava, difatti, il figlio che il padre era un imprenditore di successo che, tra le altre cose, aveva dismesso volontariamente alcuni averi. Il padre stesso si era poi comunque impegnato con atto notarile a versare delle somme in suo favore. Censurava infine la violazione degli artt. 2 e 30 Cost., artt. 147-148- 2059 c.c. perché non era stato ritenuto provato il danno esistenziale per assenza del padre e non era stata presa in considerazione la relazione dello psicologo.  

La Suprema Corte anzitutto accoglie le censure relative all'assegno di mantenimento: il giudice di seconda istanza non si era difatti premurato di considerare la maggior potenzialità patrimoniale del padre e non aveva correttamente individuato quali potessero essere gli apporti del figlio e della madre che potessero garantire al figlio stesso l'autosufficienza. Con riferimento al danno esistenziale la Corte chiarisce che- sebbene per la violazione dei doveri di mantenimento, educazione e istruzione vi sono anche i rimedi dell'illecito civile oltre quelli del diritto di famiglia- i presupposti per il risarcimento sono quelli dell'art. 2043 c.c. Ciò vale a dire che anche il risarcimento ex art. 2059 c.c. richiede che sussista la condotta illecita, la lesione ingiusta e il nesso eziologico. Ne discende dunque che il danno esistenziale non può essere fatto valere in sé ma occorre che siano provati, alla stregua dell'onere della prova, tutti gli altri elementi che costituiscono il basamento dell'illecito ed in particolar modo deve essere dimostrato il brusco cambiamento di vita e la compromissione dell'esistenza del figlio. Non si evidenzia alcun vizio della sentenza impugnata laddove il giudice d'appello sottolinea che i rapporti con il padre vi sono stati sebbene poi interrotti negli ultimi anni ed evidenzia che lo stato psicologico del ricorrente era stato determinato anche dal carattere di quest'ultimo nonché dalla separazione dei genitori.  

 

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