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Insegnare i diritti delle donne: un uomo rischia la pena di morte

Ivana

Rischia di morire per aver parlato e difeso i diritti delle donne e per aver cercato di insegnare ai propri alunni il rispetto dell'altro. Accade in Pakistan. La vittima è un professore di 33 anni, Junaid Hafeez, accusato di blasfemia per aver disquisito con i propri studenti dei diritti delle donne in un Paese dove queste non hanno gli stessi diritti degli uomini. In Italia, a sollevare la questione è Francesco Bitto, portavoce regionale dell'Ente Settore Terzo dell'A.N.A.S. (associazione nazionale Azione Sociale) attraverso un noto giornale veneto. La notizia rischia di passare in sordina se non fosse per l'attenzione di un uomo e di una donna impegnati nel sociale e nella difesa dei diritti umani e contro ogni forma di violenza: Francesco Bitto a Verona e Rosa Perupato a Vittoria che, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica su un fatto grave e inaccettabile, ha condiviso e postato la notizia su Fb. Sembra assurdo che nel XXI secolo si debba morire per aver cercato di inculcare nella mente dei più giovani il rispetto dell'altro e la parità di genere. A livello internazionale dai canali di Change.org (la società americana nata nel 2007 che gestisce la piattaforma online di campagne sociale) Helen Haft, amica e collega di Junaid Hafeez, lancia la petizione "Non impiccare il professore Junaid Hafeez per aver insegnato i diritti delle donne". Haft scrive: "Il 21 dicembre 2019 Junaid Hafeez, professore pakistano, è stato condannato all'impiccagione per blasfemia. Dopo essere tornato in Pakistan dal Mississippi - dove aveva trascorso un soggiorno accademico come borsista del Programma Fulbright - Junaid ha voluto riportare ai suoi studenti la passione per la letteratura e la giustizia sociale. Junaid è stato accusato di blasfemia dopo aver insegnato tematiche come i diritti delle donne. Dopo una lezione cui ha partecipato una scrittrice, Junaid è stato accusato di aver detto cose blasfeme: studenti conservatori hanno infatti protestato e hanno indotto le autorità ad accusare Junaid di aver insultato il Profeta Maometto sui social media. L'arresto di Junaid ebbe luogo nel 2013 e da allora è stato sempre recluso in isolamento. Il suo avvocato, Rashid Rehman, è stato assassinato nel 2014 per aver deciso di difendere il professore. Da quando in Pakistan è stata introdotta la pena di morte per blasfemia negli anni 80 si sono verificate 1500 accuse di blasfemia. Un'accusa di blasfemia in Pakistan equivale a una sentenza di morte. Il Governatore del Punjab, Salman Taseer, è stato ucciso nel 2011 dalla sua guardia del corpo per aver criticato la legge".  

L'appello è rivolto a tutti senza distinzione di sesso, religione e provenienza geografica. Temi così delicati non possono essere racchiusi in categorie e non posso esserci differenze. Non si può pensare di poter morire per aver esercitato il diritto alla parola e per aver trattato  temi quali i diritti delle donne. Motivo per cui Helen Haft chiede alla comunità globale di mobilitarsi per salvare la vita del suo collega e di coloro che quotidianamente lottano per la difesa dei diritti umani. "Come ex borsista Fulbright che ha condotto studi e ricerche sul tema della blasfemia chiedo che la comunità globale si attivi in solidarietà con Junaid e a difesa del diritto di parola. Le leggi contro la blasfemia in Pakistan sono uno strumento che può essere utilizzato contro chiunque in qualsiasi momento. Le leggi impediscono alle persone di parlare non solo riguardo alla religione ma anche su tematiche come i diritti delle donne. Le leggi ad oggi hanno ridotto al silenzio attiviste e attivisti per i diritti delle donne, per i diritti umani, giornalisti, professori e cittadini comuni. Mentre minoranze religiose, dissidenti politici, liberi pensatori e intellettuali sono spesso presi di mira, le prime vittime sono gli stessi musulmani." 

Personalmente a fare scalpore è anche il silenzio che avvolge tali fatti. Sarebbe opportuno che tutte le associazioni a difesa dei diritti delle donne scendessero in campo per sensibilizzare l'opinione pubblica. A Verona, Francesco Bitto ha sollevato la questione. A Vittoria, Rosa Perupato ha condividendo la notizia e messo la pulce nell'orecchio di vorrà sentire.

 

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