Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 04 Aprile 2025
Categoria: Edilizia e Urbanistica

Ordine di demolizione dopo decenni di abusi, CdS: “Non occorre una motivazione rafforzata”

Con la sentenza n. 532 dello scorso 24 gennaio, la sezione II del Consiglio di Stato, chiamata a pronunciarsi sulla adeguatezza motivazionale di ordine di demolizione emanato dopo diversi decenni dall'asserito abuso, ha confermato la legittimità dell'ordinanza, precisando che " il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino".

Il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio di Stato prende avvio dall'adozione di un provvedimento recante l'ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate nel Comune di Benestare.

In particolare, si contestava alla proprietaria di un fabbricato di aver costruito opere di più recente realizzazione (fabbricato in ampliamento) e di un fabbricato preesistente, tutti realizzati in assenza di titoli edilizi. 

Ricorrendo al Tar, la proprietaria dell'immobile eccepiva l'illegittimità di tale ordinanza di demolizione, non essendo né sufficientemente motivata né essendo stata adottata nel rispetto di un termine "ragionevole".

Il T.A.R di Reggio Calabria respingeva il ricorso, ritenendo legittima l'ordinanza in quanto sufficientemente motivata in relazione all'interesse pubblico ad esso sottesa, oltre che adottata nel rispetto di un termine "ragionevole".

Ricorrendo al Consiglio di Stato, la proprietaria del fabbricato censurava la decisione del giudice di prime cure nella parte in cui aveva accertato la legittimità dell'ordine di demolizione, ritenendo – di contro – come il provvedimento fosse viziato per la violazione del principio di tutela dell'affidamento, in considerazione del lungo lasso di tempo intercorso dal rilascio del titolo.

Il Consiglio di Stato non condivide le difese mosse dal ricorrente. 

 Il Collegio Amministrativo ricorda che, nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata.

Ne deriva che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino.

Con specifico riferimento al caso di specie, il Collegio rileva come non costituisce circostanza giuridicamente rilevante la risalenza dell'abuso, non potendo tale circostanza far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo; analogamente, neppure si imponeva un particolare onere di motivazione rafforzata, essendo sufficiente da conto dell'esistenza dell'abuso, la qual cosa è stata partitamente indicata nell'atto impugnata.

Alla luce di tanto, il Tar rigetta il ricorso.

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