Di Piero Gurrieri su Lunedì, 14 Luglio 2025
Categoria: Legge e Diritto

Falcone, il rispetto dovuto. E la menzogna del suo sostegno alle carriere separate

C'è un limite che non si dovrebbe mai oltrepassare, nemmeno nel più aspro dei dibattiti: l'uso strumentale dei morti. Giovanni Falcone non è solo un nome, è un simbolo nella memoria collettiva, e chi oggi – per convenienza politica – prova a piegarne il pensiero ai propri disegni, si rende responsabile non solo di un falso storico, ma di una profanazione civile.

È un falso storico – e non serve il beneficio della retorica per affermarlo – sostenere che Giovanni Falcone fosse favorevole alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. A smascherare questa manipolazione non sono opinionisti di parte, ma la viva voce, tra gli altri, tra molti altri, di Alfredo Morvillo, fratello della magistrata Francesca Morvillo – anch'essa uccisa a Capaci – e presidente emerito di Tribunale. Le sue parole, lucide, rigorose e accorate, riportate mesi fa dal Fatto Quotidiano, dovrebbero bastare a chiudere una volta per tutte la questione: È una «mistificazione» affermare che Giovanni Falcone era favorevole alla separazione delle carriere.Il magistrato ucciso a Capaci il 23 maggio 1992 disse che «il pm non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice e non deve essere, come invece è oggi, una specie di paragiudice» ma quella frase fa parte di un discorso molto più ampio pronunciato da Falcone in due interventi del 1989 e del 1990: «Giovanni era contrario alla separazione delle carriere. Semmai era un sostenitore della cosiddetta separazione delle funzioni o quantomeno della necessità di una specializzazione per l'ufficio del pubblico ministero». In quell'intervista, Morvillo ha ribadito che le affermazioni di Falcone sono state decontestualizzate. In quel momento, ha spiegato, c'era la necessità che ii pm che non avevano esperienza di coordinamento delle indagini «avrebbero dovuto avere una preparazione supplementare, al di là delle semplici materie del concorso. D'altra parte se parliamo di separazione delle carriere dovremmo anche ricordare che tipo di carriera ha fatto Giovanni». Ma «questo è il solito giochetto: usano il nome di Falcone come prova della bontà delle loro tesi (...). Eppure quando il ministro parla di concorso esterno, di intercettazioni o di 41 bis, si guarda bene dal citare Falcone: come mai? Forse perché in realtà tra le posizioni di Nordio e quelle di Giovanni c'è un abisso (...). Per questo dico a Nordio di lasciar riposare in pace i morti. Vada pure avanti con le sue riforme, anche più inutili di questa, ma la smetta di citare a sproposito il nome di chi non c'è più e non può replicare». Falcone parlava di separazione delle funzioni e invocava «specializzazione» del pubblico ministero. Mai – mai – teorizzò, né tanto meno sostenne, lo sdoppiamento delle carriere. Lo dimostra la sua stessa biografia professionale: pretore, giudice, pubblico ministero, magistrato fuori ruolo al ministero, procuratore aggiunto. Come Paolo Borsellino. La mobilità interna era per lui risorsa, non pericolo. E l'unità della giurisdizione, un presidio democratico.

Chi oggi spaccia frasi decontestualizzate, chi trasforma la memoria di Falcone in un grimaldello per legittimare una riforma che lo stesso Licio Gelli voleva – sì, proprio Gelli, il capo della P2 – mente dunque al Paese. E lo fa consapevolmente.

Abbiamo scritto queste cose, e alcuni rispondono col dileggio. Offese personali, insulti, derisioni. "Questo tizio non ha un cazzo da fare", hanno scritto di me, di noi, di questa testata. È il segno dei tempi. Tempi in cui il dissenso – anche quando fondato su fonti di prima mano e conoscenza diretta – viene trattato come eresia da punire. Tempi in cui chi contesta la narrazione ufficiale viene etichettato come un disturbatore da zittire.

Non ci riusciranno. Perché la verità ha voce, e chi ha servito lo Stato e pagato con la vita non può essere piegato alla propaganda di governo. Chi ha conosciuto Falcone – come Grasso, Morvillo, Natoli, Spataro – parla con cognizione. Chi oggi lo cita a sproposito, lo fa perché non ha argomenti propri, perché ha bisogno di prestare al proprio progetto le parole di chi non può più replicare.

Con fermezza, diciamo che la separazione delle carriere è un progetto di svuotamento democratico, che isola il pubblico ministero, lo espone all'esecutivo, lo priva dell'equilibrio interno al corpo giudiziario. È un progetto che scardina la cultura unitaria della giurisdizione, che mina l'indipendenza della magistratura in nome di una visione efficientista, autoritaria, e profondamente antidemocratica della giustizia. E usarne Falcone come scudo è un atto di intollerabile violenza simbolica.

Non staremo in silenzio. E non lo faremo nemmeno davanti agli insulti, perché l'insulto è la confessione di chi non ha risposte. Di chi, nel vuoto argomentativo, cerca rifugio nell'aggressione. Noi rispondiamo con il diritto, con la storia, con le fonti. E, soprattutto, con rispetto. Quel rispetto che si deve a chi ha dato tutto per la giustizia. Anche la vita. E che merita di non essere più usato, né tradito.