Di Carmela Patrizia Spadaro su Lunedì, 06 Ottobre 2025
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Dichiarazione dei redditi e visto di conformità infedele del professionista Caaf: sanzioni per il contribuente o per il professionista?

Riferimenti normativi: Art.13 Decreto ministeriale n.164/1999 – art.36 ter D.P.R.n.600/1973

Focus: L'Agenzia delle Entrate può iscrivere a ruolo l'imposta, le sanzioni e gli interessi a carico del professionista, abilitato all'assistenza fiscale, per visto di conformità infedele della dichiarazione dei redditi del contribuente? Si è pronunciata sulla questione la sezione tributaria della Corte di Cassazione con Ordinanza n.24455 del 3 settembre 2025.

Il caso: Un professionista abilitato aveva apposto, in qualità di responsabile dell'assistenza fiscale, il proprio visto di conformità sui documenti allegati alla dichiarazione Modello 730/2015 (relativa all'annualità d'imposta 2014) di un contribuente con domicilio fiscale nel territorio di competenza della Direzione provinciale delle Entrate di Palermo. La suddetta Direzione provinciale aveva sottoposto a controllo formale, ai sensi dell'art. 36-ter D.P.R. n.600/1973, la dichiarazione del contribuente ed all'esito del controllo, ritenendo che il visto apposto fosse infedele, aveva iscritto a ruolo a carico del professionista l'imposta (Irpef), la sanzione (pari al 30 per cento dell'imposta) e gli interessi, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. a), secondo periodo, D. Lgs.9 luglio 1997, n. 241 <<che sarebbero stati richiesti al contribuente>>. 

La relativa cartella di pagamento era stata notificata dall'Agenzia delle Entrate Riscossione al professionista responsabile dell'assistenza fiscale che l'aveva impugnata dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo eccependo che l'art. 39, comma 1, lettera a), secondo periodo, del D. Lgs. n. 241/1997, come da modifica apportata con L.n.26/2019, prevede che coloro che abbiano apposto il visto di conformità siano tenuti al pagamento di una somma pari al 30% della maggiore imposta riscontrata e non più di una somma pari all'importo dell'imposta, della sanzione, degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente come nella versione previgente della medesima norma. Pertanto, anche colui che ha posto il visto infedele a dichiarazioni presentate per l'anno 2014, non avrebbe dovuto, comunque, rispondere dell'imposta, della sanzione e degli interessi richiesti al contribuente, ma solo del 30% della maggiore imposta riscontrata. Ha eccepito, inoltre, che, sulla base del dato letterale dell'art. 39, c.2, del D. Lgs. n. 241/1997 nella parte rimasta invariata, l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate competente ad azionare la pretesa delle somme in questione e, nel caso di specie, a provvedere alla formazione del ruolo presupposto della cartella di pagamento notificata dall'agente di riscossione ed impugnata, avrebbe dovuto essere la Direzione Regionale dell'Agenzia delle Entrate del domicilio fiscale del trasgressore, cioè della sede nazionale del C.A.A.F., e non la Direzione provinciale competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente assistito che si era rivolto al locale C.A.A.F. 

La Commissione tributaria provinciale aveva accolto parzialmente le richieste del ricorrente riconoscendo come dovute le sole sanzioni tributarie erogate nei limiti del 30% delle imposte dovute, in applicazione del principio del favor rei. Avverso la sentenza l'Agenzia delle Entrate aveva proposto appello principale e il professionista aveva proposto appello incidentale dinanzi alla Commissione tributaria regionale la quale aveva rigettato entrambe le impugnazioni. La sentenza d'appello è stata impugnata dall'Agenzia delle Entrate con ricorso per Cassazione. Il professionista ha proposto dinanzi alla Suprema Corte ricorso incidentale eccependo, in particolare, il vizio di incompetenza territoriale della Direzione Provinciale dell'Agenzia delle Entrate di Palermo che aveva emesso la cartella di pagamento formata a seguito dell'iscrizione a ruolo all'esito del controllo della dichiarazione dei redditi ex art. 36 ter D.P.R. n. 600/1973. Nella fattispecie, il professionista ha ribadito che la competenza ad emettere l'atto impugnato era della Direzione Regionale del Lazio, tenuto conto che la sede nazionale del CAAF è a Roma. Di conseguenza, si era configurata una causa di annullabilità nell'atto in questione, come già acclarato dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti, la Corte Suprema aveva già chiarito che"la responsabilità, prevista dall'art. 39, comma 1, lett. a), secondo periodo, del D.Lgs. n. 241 del 1997 (ratione temporis applicabile), dei soggetti che rilasciano il visto di conformità o l'asseverazione infedeli, relativamente alla dichiarazione dei redditi presentata con le modalità di cui all'art. 13 del D.M. n. 164 del 1999, ha una funzione anche punitiva; ne consegue che, ai sensi del comma 2 del citato art. 39, la competenza all'iscrizione a ruolo, nei confronti dei medesimi soggetti, di una somma pari all'importo dell'imposta, della sanzione e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente, appartiene alla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate, individuata in ragione del domicilio fiscale del trasgressore e non può essere derogata, pena l'illegittimità dell'atto compiuto in violazione di tale attribuzione"Pertanto,sulla scorta di tale orientamento manifestato, il giudice di legittimità ha accolto il ricorso introduttivo del professionista e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, ha cassato la sentenza impugnata per nullità dei provvedimenti a causa dell'incompetenza dell'ufficio che aveva emesso l'atto impugnato.