Con la sentenza n. 6729 dello scorso 18 febbraio, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 367 c.p. inflitta ad un uomo che aveva denunciato di aver subito un danneggiamento alla propria autovettura parcheggiata, così determinando l'avvio delle indagini dei Carabinieri, quando in realtà, come emerso nel corso delle indagini, l'auto era già danneggiata nel momento in cui veniva effettuato il parcheggio.
Si è, difatti, precisato che "ai fini della configurabilità del delitto di simulazione di reato è sufficiente che la falsa denuncia determini l'astratta possibilità di un'attività degli organi inquirenti diretta all'accertamento del fatto denunciato, attesa la natura di reato di pericolo della fattispecie di reato, con la conseguenza che deve essere esclusa l'integrazione del reato solo allorché la denuncia, per la sua intrinseca inverosimiglianza o per il modo della sua proposizione o per l'atteggiamento tenuto dal denunciante, susciti l'immediata incredulità e il sospetto degli organi che la ricevono, che si determinino al compimento di indagini al solo fine di stabilirne la veridicità e non già per accertare i fatti denunciati".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, sia il Tribunale che la Corte di appello di Salerno riconoscevano un uomo colpevole del reato di cui all'art. 367, c.p. in quanto aveva presentato denuncia presso i Carabinieri, affermando falsamente di aver subito il danneggiamento della propria autovettura.
In particolare, nella denuncia, l'uomo aveva asserito che ignoti avevano provocato l'ammaccatura del cofano anteriore dell'auto parcheggiata sulla pubblica via e che aveva constatato tale danno quando era tornato a prelevare il mezzo; successivamente, dalla visione delle immagini tratte dal sistema di videosorveglianza installato presso vicini esercizi commerciali, l'uomo aveva appurato che un furgone, nel fare retromarcia, aveva urtato il suo veicolo e si era poi immesso sulla strada principale senza fermarsi.
Iniziate le indagini dei Carabinieri, si appurava che l'auto era già danneggiata al momento in cui il relativo proprietario l'aveva parcheggiata.
Ricorrendo in Cassazione, l'imputato censurava la decisione evidenziando violazione di legge e dell'art. 367c.p., rilevando come la sua condotta non integrasse gli estremi del delitto di simulazione di reato, perché non aveva sporto denuncia per un fatto di reato ma aveva solo segnalato un illecito civile, consistente nella colposa violazione delle norme che regolano la circolazione stradale, ossia una condotta non idonea a determinare il pericolo che venisse iniziato un procedimento penale.
Secondo la difesa del ricorrente, a conclusioni differenti non si sarebbe potuti giungere alla luce della circostanza che, nel caso di specie, era stata compilata una annotazione di polizia giudiziaria e si fosse dato corso ad un'indagine, in quanto l'imputato si era limitato a richiedere l'acquisizione dei filmati di una videocamera che riprendeva il luogo in cui l'auto era parcheggiata.
La Cassazione non condivide le doglianze formulate.
Gli Ermellini ricordano che ai fini della configurabilità del delitto di simulazione di reato è sufficiente che la falsa denuncia determini l'astratta possibilità di un'attività degli organi inquirenti diretta all'accertamento del fatto denunciato, attesa la natura di reato di pericolo della fattispecie di reato, con la conseguenza che deve essere esclusa l'integrazione del reato solo allorché la denuncia, per la sua intrinseca inverosimiglianza o per il modo della sua proposizione o per l'atteggiamento tenuto dal denunciante, susciti l'immediata incredulità e il sospetto degli organi che la ricevono, che si determinino al compimento di indagini al solo fine di stabilirne la veridicità e non già per accertare i fatti denunciati.
In relazione al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come con il ricorso per cassazione, la difesa ripropone le censure già sollevate in appello con riferimento alla configurabilità del delitto di simulazione di reato, censure per altro respinte con motivazione logica e immune da vizi dalla sentenza impugnata, che ha rilevato che la querela contro ignoti atteneva ad un fatto astrattamente riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 635, comma 2, c.p., trattandosi di mezzo esposto per consuetudine necessità alla pubblica fede, salva ogni ulteriore verifica in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato.
La sentenza in commento evidenzia altresì come la possibilità di un'attività degli organi di inquirenti diretta all'accertamento del fatto era tutt'altro che astratta, considerato che, dopo la presentazione della querela, i carabinieri avevano svolto indagini.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.