L'elezione di Geronimo La Russa alla presidenza dell'Automobile Club d'Italia, a seguito della decadenza dell'ex presidente Angelo Sticchi Damiani, a prescindere dalla sua legittimità, impone alcune riflessioni sul rapporto tra potere politico e governance degli enti pubblici, specialmente quelli con rilevanza economica e sociale strategica, se non altro per l'attenzione suscitata nei media.
Sticchi Damiani, al vertice dell'ente da oltre un decennio, è stato rimosso in virtù dell'art. 6, co. 2, della legge 14/1978, che pone un limite di tre mandati per gli enti pubblici. Una norma inapplicata per decenni e improvvisamente riattivata con l'immissione nell'ordinamento dell''art. 7 del D.L. 208/2024, convertito in legge lo scorso febbraio, che fissa a tre il limite massimo di mandati consecutivi per la guida di enti pubblici che hanno natura di federazione sportiva. La rapidità dell'intervento normativo interpretativo (con tanto di inserimento nella legge di bilancio) e il successivo commissariamento dell'ente da parte del Governo, indicano una volontà politica precisa di incidere sulla successione al vertice.
Il profilo del nuovo presidente, Geronimo La Russa – già presidente di Aci Milano e vicepresidente di Sara Assicurazioni – non è privo di esperienze di settore, e non si può certo dire che egli non possedesse i titoli per poter legittimamente aspirare a candidarsi e ad essere eletto alla prestigiosa carica. Tuttavia, il contesto in cui avviene la sua ascesa solleva più di un interrogativo. In particolare, il legame familiare con la seconda carica dello Stato rafforza una percezione di intreccio tra potere politico e gestione di enti pubblici, che obbiettivamente mina la credibilità dell'imparzialità amministrativa e alimenta l'idea di una governance per cooptazione familiare. Anche perchè, salvo sviste, la cosa non ha precedenti, almeno in anni recenti.
E ciò a prescindere dal possibile depotenziamento dell'Aci che potrebbe derivarne: si è già perso il Gran Premio di Imola; si teme per quello di Monza; si discute della sottrazione del PRA. Si tratta di eventi che vanno ben oltre le nomine e che attengono all'efficacia della direzione strategica e alla tenuta istituzionale dell'ente.
Non si tratta, quindi, di questione personale, nè riducibile ad un contesto familiare, nè di procedimento di cui, fino a prova contraria, possa mettersi in dubbio la legiittimità formale, tanto più dopo che TAR e Consiglio di Stato si sono pronunciati. Si tratta di una questione diversa, e più generale. Il diritto amministrativo prevede limiti ai mandati non come strumenti di epurazione, ma come garanzie di alternanza. Quando questi (e se questi) si trasformano in leve per ricomporre assetti di potere interni alla maggioranza o a gruppi politici, viene meno la funzione di garanzia dell'ordinamento. Ne consegue un rischio concreto di degenerazione del principio di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost. oltre che una compressione delle logiche meritocratiche.
E questo vale per solo per chi attualmente governa, ma per tutti. È opportuno, in un Paese già segnato da una diffusa sfiducia nella politica e nelle istituzioni, interrogarsi su quanto ancora sia sostenibile un modello di gestione pubblica che sembra, troppo spesso, ispirato a logiche di fedeltà, che restano tali anche quando possano accompagnarsi alla competenza.