Di Piero Gurrieri su Mercoledì, 30 Luglio 2025
Categoria: Editoriali

Separazione delle carriere, il no di Melillo alla riforma Nordio è fondato, assottiglia la trama costituzionale.

Con parole gravi e con sobrietà, il Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo ha lanciato un allarme che non può essere annoverato tra le dichiarazioni di rito, o derubricato tra le quelle di parte. Lo ha fatto, rispondendo alle domande di un giornalista del Corriere, poco prima di recarsi presso la sede romana della Direzione nazionale antimafia per partecipare ad un momento fortemente evocativo: l'intitolazione di due sale a Rocco Chinnici e Mario Amato, magistrati assassinati da poteri criminali e politici, rispettivamente mafiosi e neofascisti, che vedevano nella magistratura indipendente un ostacolo insormontabile alla loro strategia eversiva.

Ed infatti, ha argomentato Melillo, è proprio l'indipendenza della magistratura l'autentico discrimen nella riforma proposta dal ministro Nordio e approvata in seconda lettura dal Senato. Una riforma che, nel nome della "modernizzazione" e della "chiarezza dei ruoli", rischia di realizzare – come Melillo ha affermato senza giri di parole – un "assottigliamento della trama costituzionale".

Chi ha letto il mio libro "Divide et Impera: la separazione delle carriere e i rischi di eterogenesi dei fini" sa che a questa conclusione ero giunto per altra via: quella dell'analisi storica e comparata del rapporto tra i diversi poteri dello Stato e tra i medesimi poteri di diversi Stati; e quella dell'evoluzione storica dell'equilibrio tra politica e giustizia, e della spinta costante, in quanto mai sopita, verso la verticalizzazione del potere esecutivo.

La riforma Nordio separa le carriere, divide il CSM in due organi distinti, introduce il sorteggio come criterio di nomina dei membri togati, ma soprattutto isola il pubblico ministero dal circuito costituzionale dell'autogoverno della magistratura, predisponendolo a una pericolosa dipendenza dal potere esecutivo e dalla polizia giudiziaria, come effetto necessitato e quasi certo, alla luce degli effetti esercitati dalla separazione delle carriere in tutti gli ordinamenti europei e nordamericani, dell'ampliarsi dei suoi poteri. 

Melillo, che dirige l'organo più esposto alla pressione dei poteri criminali, sa certamente di cosa parla. E il suo giudizio è netto: la riforma crea "un piano pericolosamente inclinato" che espone il PM a pressioni esterne, minando la sua autonomia funzionale e, con essa, la possibilità stessa di condurre indagini efficaci sulla criminalità organizzata. Non è difficile vedere in questo scenario i tratti di una involuzione della democrazia. Il pubblico ministero separato dai giudici, governato da un proprio Consiglio autonomo con componenti sorteggiati, perde peso e autorevolezza istituzionale. Il rischio – reale e non teorico – è che venga messo sotto scacco dalla politica attraverso un controllo indiretto, esercitato tramite la leva gerarchica e l'accesso pilotato ai ruoli direttivi. E chi perderà davvero in questo disegno non sarà solo il PM. Sarà il cittadino. Perché una giustizia inquirente meno indipendente è una giustizia meno coraggiosa e meno libera di spingersi in quei luoghi in cui la verità non risulta essere particolarmente gradita. 

La storia insegna che quando la magistratura ha saputo offrire al Paese risposte risolutive, lo ha potuto fare perché libera e unita, con giudici e PM accomunati dalla stessa cultura giuridica, dallo stesso ordinamento. Il divide et impera, il dividere per dominare rompe questo circuito virtuoso, per sostituirlo con la logica eterna di chi punta esercitare il potere senza esser soggetto ad alcun limite. Legibus solutus, appunto.

Per questo l'allarme di Melillo non va archiviato ma rilanciato in ogni sede democratica. E per questo il referendum sulla "riforma" Nordio sarà uno spartiacque culturale e costituzionale. Una scelta tra l'indipendenza della giustizia e il rischio di una deriva autoritaria silenziosa, ma concreta. Ed è, quindi, un dovere prepararsi a combattere democraticamente contro questa riforma, con la forza che viene dalla Costituzione.