Nel pieno del blitz legislativo per la separazione delle carriere e la riforma del CSM, mentre in Senato si cancellano gli emendamenti con il "canguro" e si contingentano i tempi per evitare il dibattito, arriva un dato che rovescia la retorica del governo. Un sondaggio, pubblicato proprio in queste ore, mostra che il 58% degli italiani ha fiducia nella magistratura. Una percentuale che supera di gran lunga quella riservata al Parlamento (34%) e al Governo (35%), e che colloca la magistratura appena dietro forze dell'ordine e forze armate. Altro che "i cittadini hanno voltato le spalle ai giudici", come afferma da mesi il ministro Nordio: sono semmai i cittadini che si sono voltati da tempo dall'altra parte, davanti ad una politica che si fa beffe della questione morale.
E la questione morale non è un'astrazione. È cronaca quotidiana. È una lunga catena di scandali che coinvolge sindaci, amministratori, consiglieri, portaborse, parlamentari. È la pervasività di pratiche clientelari, di reti opache, di collusioni con mafie e interessi criminali che segnano la vita democratica del Paese ben più di quanto facciano le deviazioni, comunque gravi e isolate, che talvolta toccano anche il corpo della magistratura.
Eppure, proprio mentre la politica si guarda bene dal riformare se stessa – mai un accenno a trasparenza nei partiti, a riforma del finanziamento, a potenziamento degli strumenti di prevenzione –, si accanisce contro la magistratura, arrivando a proporre un CSM selezionato per sorteggio e un'Alta Corte costruita per disciplinare i giudici dal vertice dell'esecutivo. Un attacco frontale che non ha precedenti in alcun Paese occidentale.
Il gioco ormai è chiaro: non si tratta di riformare per migliorare, ma di disarticolare un potere che disturba. E se, come sembra, la maggioranza parlamentare sarà sufficiente per approvare un provvedimento che anche parte della destra guarda con imbarazzo, non sarà sufficiente per farlo reggere al referendum confermativo, il quale, lo ricordiamo, non prevede quorum e dunque sarà vinto da chi prenderà un voto in più. E sarà lì che si misurerà il rapporto tra potere e popolo.
Nel frattempo, la giustizia reale resta ferma. I problemi veri – organici insufficienti, digitalizzazione carente, accesso farraginoso, riforme processuali sbagliate – non si affrontano. Non per disattenzione, ma per calcolo. Perché l'obiettivo della maggioranza non è rendere giustizia più efficiente, ma più silenziosa, più allineata, più docile.
Ma c'è un dato che resiste: la magistratura, con tutti i suoi limiti, ha pagato un prezzo altissimo per la democrazia italiana. Ha pagato con la vita dei suoi uomini migliori, con l'isolamento, con la delegittimazione sistematica. Chi oggi prova a metterla sotto tutela, o peggio sotto controllo, si assume la responsabilità politica e storica di un conflitto istituzionale gravissimo, che rischia di concludersi non solo con la sconfitta di una riforma sbagliata, ma con la chiusura anticipata di un'intera stagione politica.