Di Piero Gurrieri su Venerdì, 18 Luglio 2025
Categoria: Editoriali

Le minacce di Nordio a Piccirillo? Chiamate gli infermieri, ma per il ministro.

Un ministro della Giustizia che minaccia un magistrato per aver espresso un'opinione. Che lo deride pubblicamente, ne evoca il ricovero psichiatrico, e lascia intendere che sarà oggetto di sanzioni disciplinari. Che insulta il Consiglio Superiore della Magistratura, riducendolo a un mercato fondato su protezioni correntizie. Possiamo considerare tutto questo l'ennesimo infortunio del titolare di via Arenula? No, si tratta di un'aggressione. Occorre chiamare le cose con il loro nome.

Il magistrato Raffaele Piccirillo, figura di indiscusso profilo e rigore, ha osato criticare le scelte di Carlo Nordio nel caso Almasri. Non ha urlato, non lo ha insultato. Ha parlato da giurista, da cittadino, da servitore dello Stato. Ha detto ciò che molti pensano: che su quella tragedia si è taciuto fin troppo, e agito poco. 

La risposta del ministro non si è fatta attendere, ed è stata feroce. "In qualunque Paese – ha detto – avrebbero chiamato gli infermieri". E poi la postilla, che suona come una minaccia: "Potrebbe essere oggetto di valutazione". Eccola, la nuova grammatica del potere: chi contesta, anche con pacatezza, viene esposto prima al sospetto, poi alla gogna. Infine, se non si pente e perdiste nell'errore, cominci a tremare.

Si potrebbe chiudere il tutto dicendo che sì, gli infermieri bisognerebbe chiamarli, ma per il ministro. Ma sarebbe sottovalutare le sue parole. Bisogna allora andare a fondo. Ciò che il ministro finge di dimenticare, è che a tremare sono i deboli, non i cittadini (e i magistrati). In realtà, lo sa bene ma non lo tollera. Perché non vuole una magistratura autonoma. Vuole una magistratura obbediente, sottomessa. Vuole separare le carriere, svuotare il CSM, costruire un'Alta Corte "indipendente". Da chi? Dalla magistratura stessa.

Martedì il ministro sarà in Senato, ma non dirà mai che la sua idea di giustizia non è imparziale, ma piegata. Che la sua visione è di un potere giudiziario come periferia dell'esecutivo. E non dirà mai che il senso della sua Alta Corte è, in definitiva, che chi non ci sta, vada delegittimato, isolato, punito.

Di fronte a questo, il silenzio istituzionale fa più rumore (e scandalo) delle parole del ministro. Le voci che si levano – fino a quella dal vicepresidente del CSM Pinelli – non bastano. Serve una presa di posizione netta, corale, indignata. Perché non è in gioco il destino di Piccirillo. È in gioco la libertà di tutti i magistrati. E con essa, la democrazia.

Quando un magistrato non può più parlare, non è il magistrato a dover temere. È il Paese intero. Chi si gira dall'altra parte, oggi, accetta che la verità abbia un prezzo. E che a pagarlo sia chi la difende.